giovedì 12 maggio 2011

Con le dita nei solchi. Approccio tattile all'incisione d'arte



Seguendo il tema affascinante delle mani, del tatto, dell’artigianato, ho pensato di raccontarvi questa mia personale esperienza di lotta al brutto.
In questo caso specifico, il “bello” o meglio ciò che io proponevo come “bello” e cioè le matrici delle stampe d’arte (17 metalliche e 1 lignea), erano accessibili a tutti, anche a coloro che avevano perso con gli anni o con la malattia alcune ”abilità”: la vista per esempio, o la fermezza nel tatto, o ancora la voglia di capire…
Questo esperimento faticoso e controvento non mi ha certo reso famosa, ma giuro per qualche tempo mi sono sentita fiera!

Lo ammetto, se non fossi stata educata al rispetto delle regole sarei una selvaggia.
La fruizione di ciò che è bello passa per me attraverso i cinque sensi e il fatto che nella maggior parte delle occasioni ci sia negato l’uso del tatto mi provoca continue mortificazioni estetiche.
Non possiamo toccare quasi nulla: la frutta esposta, le persone con cui parliamo, figuriamoci le opere di scultura e di pittura!
La mia frustrazione ha avuto uno sfogo positivo quando lo scorso anno ho avuto l’opportunità di organizzare una mostra. Il mio io, intimo e animalesco, voleva un’esposizione in cui tutti potessero allegramente smanacciare le opere. Ma come fare, cosa esporre? Alla fine grazie a una serie di circostanze fortunate sono andate in mostra diciotto lastre incise (a rappresentare nove diverse tecniche della stampa originale: acquaforte, bulino, maniera nera, punzone, puntasecca, cera molle, acquatinta, tecnica mista, xilografia) e i corrispondenti 18 fogli.
Il titolo dell’evento “Ad occhi chiusi. Percorsi tattili nell’incisione contemporanea” suggeriva esplicitamente ai visitatori un approccio fisico alle lastre che, ormai biffate (cioè rese inservibili perché arrivate a fine tiratura), non avrebbero risentito di tante “carezze” più o meno leggere.
All’inizio si era tutti un po’ timidi. Le signore sfioravano il legno o il metallo, appena appena, con l’unghietta laccata; altri “No no, non è il caso, mi basta guardare”; altri ancora “Ma io questi autori già li conosco, me ne hanno regalati due e li ho ancora nel cassetto” e, infine, quelli che più adoro in assoluto: “Ma quanto valgono?”. E io, un po' in ansia: “Ma no, non distraetevi! Buttatevi, siate maleducati anzi siate ineducati, lo so che volete farlo! Toccate, toccate e capite!!”.
Dopo circa mezz’ora: il decollo! “E’ vero, è vero senti i puntini piccoli piccoli del punzone”; “Ma guarda, è vero, il bulino è proprio un taglio, la puntasecca un graffio”; “La maniera nera, che cos’è? Sembra carta vetro…”.
La frase più ricorrente “è vero”, a esprimere la sensazione di realtà che solo il tatto può conferire: se non vedo non credo. Soprattutto: se non tocco (ci insegna san Tommaso) non credo!
Sotto le dita, grandi maestri: de Maistre, Costantini, Rocco, Dal Pra, Donna, Guasti, non più solo guardati ma anche umanamente toccati, una sorta di dietro le quinte, una sorta di dietro al foglio.
E dietro al foglio c’è la matrice, lastra o tavola che sia.
La matrice che parte liscia liscia e poi, a seconda dell’autore, viene lavorata con gesti calmi e misurati, o impetuosi, quasi violenti. C’è chi la gratta, la punge, la raschia; c’è chi la disegna con fare leggero e lascia che sia l’acido a scavare i solchi; chi vi ritorna sopra, continuamente modificando, rifacendo, correggendo.
Poi, concluso il lavoro duro, l’inchiostratura, data per bene, col tampone e con le mani, spingendo con le dita il liquido scuro nei solchi più minuti, o al contrario nel caso della xilografia, stesa delicatamente con il rullo a toccare tutte ma proprio tutte le creste lignee.
Infine il passaggio al torchio. Piano piano…
E la sorpresa finale, ecco esce il foglio… è nata la stampa, la prima copia, la “pda”, seguiranno poche decine, non di più.
Come sono venute? Bene?… Aaah meno male! Perché altrimenti… immaginate a dover rifare o anche solo ritoccare tutto?… Al solo pensiero…. Mi compro un poster.

I fortunati visitatori di allora (non molti in verità!) alla fine del percorso erano autorizzati a riposare le mani e invitati a guardare e ascoltare due video.
Uno, su Xavier de Maistre, sopraffino aristocratico acquafortista piemontese che gioca con il figlio ad incidere un suo soggetto classico: il grande albero con gli uccelli.
L’altro, che vi lascio qui, di Sisetta Zappone, impetuosa sperimentatrice e contaminatrice fiorentina, in mostra con “La mappa d’Oltrarno nello specchio dell’anima mia” e qui impegnata nella realizzazione di un essere mostruoso.




1. Voi avete mai pensato di poter trovare un’amica su Secondamano? Io ho conosciuto così la collezionista ed esperta di acquaforte per cui ho lavorato due anni. Senza l’aiuto di Giuliana, che ha tenuto per me i contatti con i prestatori privati e con le gallerie, non avrei mai potuto dare vita a questo progetto un po’ folle. Il suo sito è in rete: www.acquaforte.it. Qui trovate le spiegazioni sulle varie tecniche e molto altro.
2. So bene che esistono “poster” magnifici.

9 colpacci:

Ma i poster sono inanimati ed immobili! Bellissimo, davvero affascinante! Poi, toccare ad occhi chiusi enfatizza ancora di più il contatto con la materia. :-D

Quanto è bello essere 'selvaggi'! E toccare la materia ad occhi chiusi enfatizza le sensazioni che essa ci restituisce; affascinante! :-)

Questo tuo post mi dà molte e diverse suggestioni.
Innanzitutto mi fa ripensare alle modalità conoscitive dei protagonisti di Paese del silenzio e dell'oscurità di Herzog, in cui si racconta dei sordociechi e della loro modalità di relazione e conoscenza dell'esterno - che passa ovviamente per i tre sensi rimanenti e in particolare per il tatto.

Poi mi trasporta nel mondo delle stampe giapponesi, gli L'Ukiyo-e ("immagini del mondo fluttuante"), delle quali ho fatto scorpacciata visiva negli ultimi 15 anni. Tra l'altro, l'anno scorso c'è stata una mostra e una serie di incontri sull'argomento all'Accademia a Torino http://mostregraficagiapponese.wordpress.com/ hai avuto occasione di visitarla?

Infine mi fa venire in mente un personaggio meraviglioso che ho avuto occasione di conoscere a Imperia per caso e che continuo a passare a trovare ogni volta che mi reco in zona: Giovanni Berio in arte Ligustro, che realizza xilografie di ispirazione sempre nipponica producendo - in quanto ex chimico - i suoi stessi colori a partire da materiali che trova in natura (come le conchiglie). Quasi quasi la prossima volta che vado lo intervisto in video, poi ve ne riporto il racconto in un prossimo post. Immagino che anche Alberto lo conosca :-)

@ Eh sì Ginevra, è proprio così! Io veramente, fosse per me, i quadri li annuserei pure! Pensa a un olio del Tiziano degli ultimi anni, quando tirava giù il colore a manate! Poter toccare e cercare le sue impronte sulla superficie, poter sentire l'odore dei materiali... solo che, appunto, temo che se mi beccassero a strusciare il naso sui dipinti antichi... minimo... mi internerebbero!
@ Cristina. Infatti. Forse una delle "vie per la felicità" potrebbe passare dal riconoscimento e dalla valorizzazione di ciò che c'è a dispetto di ciò che manca.
Questa mostra era nata per i malati di Parkinson il cui tatto è reso impreciso dalla malattia. Questa menomazione che riguarda sia la qualità del tocco, sia la quantità di pressione necessaria per "sentire" gli oggetti, accresce la sensazione sgradevole di una realtà sempre più lontana e inavvicinabile. Quella sera si sono divertiti, ma tanto!
Confesso che conosco poco le stampe giapponesi come tutta la cultura orientale in genere! Non trovo mai tempo per approfondire. La prossima volta chiamami che andiamo insieme! :)
Infine Ligustro - nome interessante - vai, se riesci! Portaci testimonianza della xilografia! Una delle tecniche in assoluto più difficili da padroneggiare.

Bel post, non immaginavo tutte queste tecniche e non sapevo che avessero una matrice comune.

Ciao Sull'Amaca, grazie! Anche per me è stata una vera sorpresa e adesso mi sono appassionata. Non ti dico quante ne ho comprate per casa mia! Cercando di avere tecniche diverse e, per ogni tecnica, artisti diversi!

per me il tatto è un senso importantissimo, e laddove non posso toccare cerco di immaginare com'è quella cosa sotto le dita. se fossi venuta a quella mostra, avresti dovuto cacciarmi via a pedate perché avrei incollato le mani sulle opere e non si sarei staccata più! nel primo post che ho pubblicato sui ladri, ho parlato di questo quadro di Van Gogh, era esposto, temporaneamente, nel Museo di Capodimonte a Napoli, alla mostra omaggio per festeggiare il 50° anniversario dalla riapertura. Beh, quel giorno ero in estasi, le opere presenti nel Museo sono già di per loro meravigliose, ma la mostra omaggio ospitò, per un mese, più di 70 opere provenienti da prestigiosi musei e raccolte internazionali. Insomma, vagolavo da un piano all'altro, da una sala ad un'altra, da un'opera ad un' altra come un'ubriaca, dopo la "botta" d'emozione che mi aveva colpita davanti alla flagellazione di cristo del Caravaggio,che mi aveva tolto la parola (e questo la dice lunga sull'intensità del colpo:), vagolando sono arrivata davanti a questo quadro di Van Gogh. Non ho resistito davanti a quelle onde, ho allungato le mani e le ho toccate... scattato subito l'allarme e ricevuto il primo richiamo. Sono rimasta lì in contemplazione e di nuovo allugato le mani sulle barchette, di nuovo l'allarme e secondo richiamo. inutile dire che dopo qualche minuto è suonato di nuovo l'allarme, e questa volta sono stata invitata a vagolare altrove :). Lo so lo so non si fa! ma io ero posseduta :)

Quindi al posto del cartello "non toccare" quell'altro, "tocca".

Cara Aria, come ti capisco!! E' che io farei così anche con le persone! E' una cosa pericolosissima perché in quel caso più che l'allarme scatterebbero gli schiaffoni!! (o nascerebbero grandi storie d'amore... chissà!)
Caro Alberto! Sissì! L'ammonimento scritto era "VIETATO NON TOCCARE"!

Posta un commento