Un giorno di alcuni anni orsono, in una conferenza tenutasi a Milano, Richard Schechner disse che nei momenti nei quali c'è più crisi politico-sociale, in quei momenti massimo è il bisogno d'arte e poesia, come fossero ossigeno cui attingere per una cura intensiva.
Il mio ossigeno, ieri, è stata la visione di Sonor, di Levin Peter, grazie alla quale mi sono ritrovata in una sorta di stanza insonorizzata dal vociare inutile, noioso, ripetitivo e mediocre dell'esterno e in una dimensione profonda e intensa che pur ci è dato percepire, vivere, creare e apprezzare come esseri umani.
Il mio ossigeno, ieri, è stata la visione di Sonor, di Levin Peter, grazie alla quale mi sono ritrovata in una sorta di stanza insonorizzata dal vociare inutile, noioso, ripetitivo e mediocre dell'esterno e in una dimensione profonda e intensa che pur ci è dato percepire, vivere, creare e apprezzare come esseri umani.
Sonor (2011) è il resoconto, attraverso una serie di 'quadri'/situazioni, dell'incontro tra un musicista e una ballerina non udente dalla nascita, e della loro esplorazione congiunta dell'ambiente sonoro così come percepito da udenti e da non udenti (perché c'è, non è silenzio) col fine di tentare poi la restituzione delle loro scoperte in forma verbale e visiva attraverso il film. Poco alla volta la loro relazione si sviluppa come un'improvvisazione musicale, dove l'ambiente sembra rivelare una partitura di onde e vibrazioni cui abitualmente - noi normodotati - non prestiamo attenzione. Il tutto trattato con un sensuale bianco e nero, con il tempo lento della scoperta e della comprensione reciproca dei protagonisti, e melodie solo apparentemente dissonanti.
Un risultato semplicissimo ed estremamente profondo, chiaramente debitore di studi di acustica, ricerche sul paesaggio sonoro e sperimentazioni musicali di lunga data. Ma - pur nell'onnipresente neve che tutto sembrerebbe ovattare - connotato dal tepore che si sviluppa nel delicato dialogo/confronto dei protagonisti, e dal brivido del racconto della pratica abituale della ballerina di posare le mani sull'impianto stereo e mettere in loop un brano musicale finché il suo corpo e la sua memoria non siano perfettamente impregnati di una certa sequenza di vibrazioni, secondo un certo ritmo, sul quale lei disegnerà e interpreterà la propria coreografia.
Qui di seguito una breve intervista a Levin Peter, per chi avesse piacere di approfondire.
3 colpacci:
Esperire i nostri sensi da normodotati in condizioni estreme, è un'esperienza che tutti dovremmo provare; ciò non solo conduce alla scoperta di sensazioni ed emozioni inimmaginabili, ci consente, anche, di empatizzare realmente con chi ne è portatore; udire il falso silenzio è un dialogo condotto attraverso l'enfatizzazione del sonoro interiore, con noi stessi.
L'immagine della ballerina che memorizza la musica tattilmente è straordinaria, ci racconta la vastità delle risorse di cui dispone l'uomo, spesso sconosciute e scoperte solo per sopravvenute situazioni patologiche.
Bello davvero, grazie. :-)
ascoltare senza essere distratti "dal vociare inutile, noioso, ripetitivo e mediocre dell'esterno" è un'esperienza affatto diversa dall'astrazione pura e semplice: porre attenzione ai propri sensi e alle reazioni che ne derivano è un esercizio rigenerante a cui ci sottraiamo troppo spesso.
Che tradizionalmente di sensi ne abbiamo cinque ma poi sono di più.
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