domenica 24 aprile 2011

Il Cretto di Burri bis


Ci sono dei momenti nella mia vita che mi sento una incompresa, sono mossa dalle migliori intenzioni ma di quello che dico o faccio si coglie solo una lettura negativa così per cercare di rimediare divento una vera pasticciona, seguo i miei impulsi distruttivi e cancello tutto quello che ho costruito ma il risultato è sempre deludente...
Un paio di post fa l'ispirazione creativa di “piccola ape furibonda” mi aveva spinto a raccontare, in malo modo come poi si è visto, l'opera scultorea di Alberto Burri, celebre pittore nostrano che si è distinto nello stile dell'Arte Povera, cedendo alla richiesta di riparlarne cercherò oggi di fare meglio.
Medico militare fu deportato nel periodo bellico in un campo di concentramento dove cominciò a dipingere utilizzando materiali di fortuna realizzando lo stile informale.

Sotto la definizione di "arte informale" si trovano diverse forme di espressione e di stili. L'elemento accomunante non è la negazione della forma in quanto tale, ma quello di dare libera espressione alle pulsioni e alle emozioni individuali.
L'informale si divide in tre grandi linee a seconda che nelle opere dominino il gesto, la materia o il segno, Alberto Burri appartiene alla corrente dell'informale materico. Secondo Burri l'arte interviene dopo avere creato, nel suo caso, dunque, dopo l'assemblamento della materia stessa. 
Uno dei molti esempi che si possono fare è quello dell'opera Rosso plastica (1964), costituita da un telo di plastica colorato con un rosso acceso bruciato da una fiamma ossidrica. Burri utilizza il fuoco come pennello per dipingere. 
Ne risulta una plastica rotta, addensata, ferita dai colpi di calore; questo effetto accostato al rosso violento del colore accentua la drammaticità dell'immagine, lo spettatore si trova di fronte alla "pelle ustionata" della pittura.
Nel 1973 inizia il ciclo dei Cretti e su questo filone colloca l'immenso sudario di cemento con cui rivestì i resti di Gibellina in un mirabile esempio di Land Art.
il Cretto di Alberto Burri è un gigantesco monumento della morte che ripercorre le vie e vicoli della vecchia città distrutta dal terribile terremoto del 1968.
Esso infatti sorge nello stesso luogo dove una volta vi erano le macerie, attualmente "cementificate" dall'opera di Burri.
Dall'alto l'opera appare come una serie di fratture di cemento sul terreno, il cui valore artistico risiede nel congelamento della memoria storica di un paese.
Il cretto è una tra le opere d'Arte Contemporanea più estese al mondo ed il suo fascino, per me, va oltre la relazione con l'evento drammatico di cui è la memoria.



13 colpacci:

Io mi scuso immensamente, ma mi sfugge il valore artistico di simili opere. È chiaro, forse, che debba essere un'opera di denuncia, ma land art o no, io vedo una distesa di cemento, che senza le dovute informazioni, non mi porta alla memoria ciò che l'ha generata. Probabilmente sarà dovuto alla mia ignoranza nel campo. Almeno, spero, non sia dovuto alla mancanza di sensibilità.

ma siete dei critici d'arte bravissimi!
era ora. dal blog sta emergendo un manuale di storia dell'arte per le scuole.
che l'arte nelle scuole si sà, è un po' trascurata.

Ciascuno di noi ha il proprio senso estetico, che deriva dalle esperienze di cose e situazioni che nel corso della propria vita ha man mano considerato 'belle'.

Il rapporto tra sensibilità e informazione in merito a opere d'arte a me - come antropologa dell'arte - affascina particolarmente: un'opera ci può piacere (ovvero muove qualcosa dentro di noi) pur senza saperne il processo che l'ha generata o il rimando simbolico cui si riferisce. Un'altra richiede invece queste ultime informazioni affinché in noi si sviluppi il piacere estetico (e poi magari questo non si sviluppa comunque). Quando infine tutto questo si riferisce alla rappresentazione astratta e quindi ci sfugge non solo la poetica, ma pure il soggetto/simbolo rappresentato, il tutto diventa ancora più complesso.
In base a quanto detto, il criterio di giudizio mi piace / non mi piace è quindi ben più che legittimo, per me, e non è mancanza di sensibilità il non apprezzare il lavoro di un artista. Ma sempre sarò curiosa di ascoltare anche il 'dietro le quinte', le ragioni di quel giudizio, perché occasione di capire qualcosa di più sui processi di pensiero e la diversa sensibilità umana :-)

amen, sorella cristina. e grazie a marisa per aver avuto la pazienza e la forza di ri-postare (bello, piace).
buon 25 aprile a tutti.

L’esca è ghiotta ed è doppia. Così golosamente abbocco!
1) Il post di Marisa è interessantissimo. Il Grande Cretto di Burri che in realtà un cretto non è, nasce dall’idea geniale di raccogliere le macerie di Gibellina in gabbie e colarvi su il cemento. L’opera che ne risulta, di un’estensione inedita a quei tempi, si stende come un sudario sulla collina, eterno monumento alla memoria delle 1180 vittime. Ma nelle sere d’estate, quando il teatro ricavato tra i ruderi dell’antica piazza, ospita le Orestiadi, il Grande Cretto diventa sfondo fenomenale di amori, odi e lotte fratricide. Le scene di popolo passano attraverso le fenditure, le fiaccole accendono il Cretto di bagliori. E così un’opera ferma, immobile di giorno, si anima e vive di notte. Ricorda la morte e al tempo stesso celebra la vita.

2) Il commento di Roby: "io vedo una distesa di cemento, che senza le dovute informazioni, non mi porta alla memoria ciò che l'ha generata" provoca generalmente due reazioni sane: la reazione di quelli che legittimamente la pensano così; la reazione di quelli che giurano di capire benissimo e di amare l’arte contemporanea (più assurda è, meglio è) al punto da preferirla di gran lunga a quella antica.
Esiste poi una terza reazione assolutamente malata, quella delle persone che si esaltano dinnanzi a un commento sincero e che rispondono entusiaste: “Io, io… te la spiego io, te la faccio amare io”. Queste sono persone pericolose e nei limiti del possibile da evitare perché tendono a emozionarsi in maniera imbarazzante davanti a un squalo di Hirst così come davanti all’ennesima madonnina del Maestro piemontese dall’orecchio a sventola. E poi, parlano parlano…
Ecco appunto, io sono una di quelle persone.
Allora, aggiungo solo questo su Burri a tutto quando ha già scritto Marisa. O meglio, non aggiungo nulla, traduco solo a modo mio.

Cari ladri e favoreggiatori tutti, immaginate di essere in una sala. Davanti a voi 6 opere di Alberto Burri:
Un “sacco”, strappato, ricucito con suture a vista, con chiazze dense rosso sangue.
Un “gobbo”, ovvero una tela deformata da un ferro curvato al suo interno.
Una “plastica”, rossa, bruciata, accartocciata.
Un “ferro”, torto, piegato, con segni evidenti di ustioni.
Un “cretto”, ovvero una colata di terre e vinavil che asciugandosi forma crepe guidate dalla mano dell’artista.
Un “cellotex”, cioè un materiale industriale povero, di segatura e colla pressate.
Facendo un gioco libero di associazioni, quali parole vi vengono in mente?
A me, queste:
dolore, piaga,ferita; tensione, sforzo, inanità; ustione, pelle; durezza, lotta, ancora dolore; tregua, terra, siccità, riconciliazione con il caso; essenzialità, astrazione, modernità.
Provate anche voi. Ogni parola è buona ad eccezione di: sacco, plastica, ferro, cretto, cellotex: se siete andati oltre l’apparenza e vi siete accorti di essere di fronte al dolore, alla materia ferita (tutto è fatto di materia) allora Burri ha fatto centro anche con voi!
A questo punto tutto torna, le opere perfettamente si incastrano con la biografia dell’artista. L’esperienza come medico di campo nel corso della seconda guerra, la prigionia in Texas, il ritorno in Italia e la decisione di abbandonare la professione medica per dedicarsi all’arte. L’arte per esternare, comprendere superare il dolore.
Ho parlato troppo? Ecco lo sapevo…

io mi sento sempre incompreso.
ah, il destino infausto di noi geni :D

Elena, questo tuo approfondimento dell'opera di Burri proposta da Marisa è ulteriormente illuminante e appassionante - mi ha fatto imparare, riflettere, provare emozioni: cosa posso dire se non che vi ringrazio tutte? :-)

Mi associo al ringraziamento di Cristina. Credo che la passione che Elena ha messo nel suo discorso mi abbia contagiato positivamente. Potrebbe essere un inizio, per me, di accostamento più profondo con l'arte. Soprattutto questo stile di arte.

@ Marco: io, io ti spiego io al mondo, ti spiego io (vedi dunque che sono malata).
@ Cristina, Roby: grazie, le vostre parole mi onorano, danno un senso al mio continuo studiare e alla mia congiuntivite odierna! :)

Wow! fortuna che ho contato fino a 3 prima di rispondere alle domande di Elena! ché la prima parola che m'era venuta in mente è stata proprio sacco! ma solo la prima, giuro!
grazie ad entrambe, anche oggi ho imparato qualcosa, ho allungato le mani e ho raccolto stupore :)

apprezzo le spiegazioni di Elena (che in questo caso servano ad aprire gli occhi agli scettici e ai miscredenti, ai mancati estimatori del nobile intento dei moderni "patrioti"), ma oggi più che mai urlo: viva il bello, in qualsiasi forma, incompreso o meno, è quel che di meglio si possa fare per evitare che si dica che siamo stati inutili e ancor più falsi e privi di vita! Un cementante abbraccio a tutti! ;)

Elena, perché pensi di poter moralizzare sui modi in cui le persone apprezzano l'arte? Chi ti dà l'autorità per dire che troppo entusiasmo per tutto sia pericoloso. Sembri una persona intelligente ma molto arrogante. Peccato

@ecudielle: ma no, come puoi pensare che stessi moralizzando? Stavo prendendo in giro me stessa! Leggi dopo, parlo proprio di me. Non hai idea dei pasticci in cui mi sono ritrovata proprio per il troppo entusiasmo! Mi spiace che non ti sia arrivato lo spirito del commento che era invece molto umile e leggero. Spero possa ricrederti!

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