Blog di resistenza all'incedere del brutto


Per me la bellezza è Kurt Cobain che sfascia una Fender, è Mila Kunis che infila la lingua in gola a Natalie Portman, è una domenica mattina dannatamente post-alcolica. Cannibal Kid

Bellezza è un'umanità creata dallo scandito rincorrersi degli opposti, senza ripensamenti. La mia bellezza è libertà. Saharajoyce


continua...

martedì 29 novembre 2011

Le Sirene

...Alle Sirene giungerai da prima,
che affascinan chiunque i lidi loro
con la sua prora veleggiando tocca.
Chiunque i lidi incautamente afferra
delle Sirene, e n'ode il canto, a lui
nè la sposa fedel, nè cari figli
verranno incontro su le spoglie in festa.
Le Sirene sedendo in un bel prato,
mandano un canto dalle argute labbra,
che alletta il passeggier: ma non lontano
d'ossa d'umani putrefatti corpi
e di pelli marcite, un monte s'alza.
Tu veloce oltrepassa, e con mollita
cera de' tuoi così l'orecchio tura,
che non vi possa penetrar la voce.
Odila tu, se vuoi; sol che diritto
te della nave all'albero i compagni
leghino, e i piedi stringanti, e le mani;
perchè il diletto di sentir la voce
delle Sirene tu non perda. E dove
pregassi o comandassi a' tuoi di sciorti,
le ritorte raddoppino ed i lacci.
Poichè trascorso tu sarai, due vie
ti s'apriranno innanzi; ed io non dico,
qual più giovi pigliar, ma, come d'ambo
ragionato t'avrò, tu stesso il pensa.

Questi sono alcuni versi tratti dal canto XII dell'Odissea di Omero, qui Circe mette in guardia Ulisse  dalle Sirene e gli dà consigli per resistere al loro canto che porta tutti coloro che lo ascoltano a morte certa.

 Ogni volta che mi accosto a questo poema mi sento rapita nella sua trama e mi sembra di rivivere la storia in prima persona, immediatamente però non posso fare a meno di ricordare il famoso sceneggiato televisivo realizzato da Franco Rossi  con Bekim Femhiu e Irene Papas che ho avuto la fortuna di vedere nel lontano 1969.
All'epoca ero una bambina ma lo ricordo nei minimi particolari e ancor oggi, secondo me,  esso risulta migliore di tanti altri modernissimi film sull'Odissea così pieni di straordinari effetti speciali.

La straordinarietà di quello sceneggiato, però, fu soprattutto  la preziosa partecipazione del grande poeta Giuseppe Ungaretti che leggeva alcuni versi del poema all'inizio di ogni puntata, ricordo perfettamente la sua voce vibrante e intensa che riusciva ad incantarmi tanto quanto la storia stessa.
Ricordo le domeniche davanti al televisore in attesa dello sceneggiato che per quei tempi era all'avanguardia per effetti speciali che oggi sicuramente faranno sorridere ma  appena appariva l'immagine di Ungaretti tutti ci fermavano quasi a trattenere il fiato e ci lasciavamo rapire dalla sua interpretazione.

Ho cercato invano il video di Ungaretti che legge l'Odissea ma nemmeno nelle teche rai ne rimane traccia invece lo sceneggiato, se vi interessa, è in circolo su youtube ed è possibile  scaricarlo da emule ma purtroppo senza quella preziosa prefazione.
Per consolazione, si fa per dire, voglio riportare la bellissima intervista che Pier Paolo Pasolini fa al M°Ungaretti sulla "normalità"




L'ispirazione nello scrivere, che io ritengo oramai persa, questo post l'ho avuta mentre ho in studio  uno dei Notturni per sole voci femminili e orchestra "Sirènes"  di Claude Debussy , raffinato compositore e pianista  considerato uno dei massimi esponenti dell'Impressionismo Francese.
In questo notturno le voci femminili si intrecciano con gli strumenti dialogando in modo seducente e il continuo movimento dei colori sonori evoca all'ascolto immagini sensuali di code che schiaffeggiano l'onde e spruzzi gioiosi di sirene ammaliatrici. 
Voglio quindi condividere con voi il brano eseguito dal coro e dall'orchestra della Scala diretto dal  M°Claudio Abbado e se è possibile trasmettervi la gioia che io provo nell'eseguire questo mirabile brano.

giovedì 24 novembre 2011

Wodaabe - Il popolo più bello del mondo

Giovani wodaabe nel corso della festa Geerewol (© Rosemary Sheel)
I Wodaabe sono una popolazione nomade di pastori che vive tra Mali, Nigeria, Senegal, Camerun e che ancora oggi tende a rifiutare quanto più possibile l'integrazione in modelli di vita 'occidentali'. Chiamati dagli estranei Bororo, essi sono un piccolo sottogruppo dell'etnia Fulani, di lingua Fula (tradizione orale) e di religione islamica. La loro strategia di sussistenza è basata quasi interamente sulla pastorizia e l'esigenza di nutrimento degli animali in rapporto alla variabilità atmosferica e climatica è la ragione del continuo nomadismo di tale popolazione su aree che possono anche essere di grandi dimensioni.

Il codice di comportamento dei Wodaabe sottolinea riserva, modestia, pazienza, forza d'animo, cura reciproca. Ma vengo enfatizzate anche bellezza e fascino – tant'è ch'essi si considerano la popolazione più bella del mondo. Sessualmente liberali, essi praticano inoltre la poligamia e - sebbene il primo matrimonio sia in genere disposto dai genitori quando la coppia è neonata - sono previste anche altre modalità di scelta reciproca da parte dei futuri coniugi, così come nel corso della lro vita sono possibili matrimoni supplementari.
La cerimonia con la quale ragazzi e ragazze in età da marito si incontrano per poi divenire futuri sposi è chiamata Geerewol ed è un vero e proprio concorso di bellezza ma... maschile, in cui sono le donne a scegliere uno tra gli uomini da incoronare “il più bello”.

Alla fine della stagione delle piogge, nel mese di settembre, i clan si riuniscono in questa festa tradizionale in cui giovani uomini, con elaborati make-up, piume e altri ornamenti, eseguono le Yaake, danze e canzoni per impressionare le donne. L'ideale di bellezza maschile prevede un'altezza significativa nonché denti e occhi bianchissimi, dove questi ultimi – nel corso della danza/esibizione di sé – vengono fatti roteare proprio perché si possa apprezzare il biancore della sclera.
Una donna non sposata designerà il vincitore, e da quel momento potrà appartarsi con lui. Parimenti verranno scelti anche altri uomini e seguiranno scambi di doni, celebrazioni di matrimoni e quindi la ripresa della vita tradizionale con nuove configurazioni famigliari.

Di seguito il trailer di un documentario etnografico ("Dance with the Wodaabes", di Sandrine Loncke, 90', 201) che ci parla delle loro danze e di questa cerimonia, per chi avesse piacere di lasciarsi incantare...

giovedì 17 novembre 2011

due cavalieri si avvicinano



la striscia qui sopra fa riferimento alla dichiarazione di jack weinberg, leader del movimento studentesco statunitense dei primi anni '60: allora la spinta vitale verso il cambiamento radicale della società era tutta in mano alle speranze dei più giovani, per cui se ne uscì con un: "non fidatevi di nessuno che abbia più di trent'anni". il 24 maggio scorso, bob dylan di anni ne ha compiuti 70, ma è sopravvissuto sia all'autore della striscia, sia al migliore interprete di una delle sue canzoni più famose, vale a dire all along the watchtower.

personalmente, non sono mai stato un grande fan di dylan: come per tutti i cantautori, è il testo quello che nelle sue canzoni ha la massima importanza, mentre io ascolto molto di più la musica piuttosto che il testo cantato, e la musica di dylan bè, non è  esattamente un miracolo di complessità armonica. ci sono però un paio di pezzi tra i suoi che apprezzo molto per la loro estrema forza evocativa, e all along the watchtower è uno di quelli.

vorrei leggere questo testo insieme a voi, e cercare di comunicarvi quello che mi fa venire in mente.

"ci dev'essere un modo per venir fuori da tutto questo",
disse il buffone al ladro:
"c'è troppa confusione,
"non riesco ad avere tregua.

"uomini d'affari bevono il mio vino
"contadini scavano la mia terra
"nessuno di loro ha una minima idea
"del valore di tutto questo"

immaginate una scena: due amici che parlano, forse a casa di uno dei due, forse in un locale mentre bevono qualcosa. a causa del loro status, condividono un destino intenso, ma vissuto ai margini della società; eppure sanno che in qualche modo ne fanno parte anche loro, contribuiscono alla sua esistenza e al suo funzionamento. il buffone dice: questa terra è anche mia, eppure qualcun altro la lavora e altri ancora ne godono i frutti. ma quando quelli si vogliono divertire, è da me che vengono. e perché io non dovrei avere dignità pari alla loro?

"non c'è motivo di prenderla così male",
disse con calma il ladro:
"in tanti, qui
"pensano che la vita non sia altro che un gioco.

"ma tu ed io la vita l'abbiamo vissuta
"e sappiamo che non è questo il nostro destino.
"perciò, non raccontiamoci balle
"ché s'è fatta una certa"

risponde il ladro: certo, certo, il disagio è chiaro, chiara l'analisi, chiare le cause e gli effetti. ma ricordati, caro mio, che la differenza fondamentale è tra chi la vita la scrive e chi invece se la fa raccontare dagli altri, in un passaparola che alla fine non ti fa capire quale fosse il messaggio iniziale. allora, lasciatelo dire da uno che, come te, ne ha viste tante: se vogliamo che le cose cambino, poche balle e rimboccarsi le maniche, prima che sia troppo tardi.

lungo la torre di guardia
i principi tenevano d'occhio i dintorni
mentre le donne andavano e venivano
come pure i servi a piedi nudi.

lontano, nel freddo,
un gatto selvatico ringhiava
due cavalieri si avvicinavano
e il vento cominciò a ululare.

c'è un castello, una città fortificata, guardie armate sulle torri. al suo interno, le normali attività quotidiane, con i servi che garantiscono l'agiatezza dei principi, che basano la loro ricchezza sullo sfruttamento del lavoro altrui. ma le due figure a cavallo che si avvicinano, nel freddo della notte, sono portatrici di una minaccia reale, percepita come tale dagli animali selvatici, e presagita anche dagli elementi stessi. due persone unite da un sentire comune e determinate a perseguire i loro scopi possono minare le fondamenta di un intero sistema.

lo fate insieme a me un paragone con la situazione che stiamo vivendo? bob dylan avrà anche settant'anni, ma quando scrisse questa ne aveva 27, e quindi fidedigno anche secondo il dettato di weinberg. e io ho una voglia di essere uno dei due cavalieri che si avvicinano minacciosi che non vi dico.

due parole (vabbè, facciamo tre) sulla versione di hendrix: vero che la mia ammirazione per il più famoso mancino di seattle sconfina nell'idolatria (tanto per capirci: ho la sua immagine tatuata sul polpaccio sinistro), ma in questo caso credo di non esagerare se dico che il lavoro che hendrix ha fatto sul pezzo gli ha infuso nuova vita, trasformandolo nel capolavoro che è diventato. l'arrangiamento è perfetto, i brevi assoli di raccordo tra una strofa e l'altra sono stati imitati da chiunque altro abbia fatto un'ulteriore cover del brano. e nelle 24 battute dell'assolo centrale, hendrix sfoggia tre stili chitarristici differenti: una prima parte estremamente psichedelica, con atmosfera rarefatta e sonorità spaziali grazie ad echi e riverberi aggiunti in post-produzione; una parte centrale in puro stile hendrix, con vasto dispiegamento di wah-wah che influenzerà definitivamernte la sonorità di frank zappa; la parte finale giocata più su rivolti ed estensioni degli accordi e più aderente a uno stile country, forse in omaggio all'autore.

e adesso, poche balle, ché s'è fatta un certa:





mercoledì 16 novembre 2011

Sonor, di Levin Peter - Sul paesaggio sonoro di udenti e non udenti

Un giorno di alcuni anni orsono, in una conferenza tenutasi a Milano, Richard Schechner disse che nei momenti nei quali c'è più crisi politico-sociale, in quei momenti massimo è il bisogno d'arte e poesia, come fossero ossigeno cui attingere per una cura intensiva.
Il mio ossigeno, ieri, è stata la visione di Sonor, di Levin Peter, grazie alla quale mi sono ritrovata in una sorta di stanza insonorizzata dal vociare inutile, noioso, ripetitivo e mediocre dell'esterno e in una dimensione profonda e intensa che pur ci è dato percepire, vivere, creare e apprezzare come esseri umani.

Sonor (2011) è il resoconto, attraverso una serie di 'quadri'/situazioni, dell'incontro tra un musicista e una ballerina non udente dalla nascita, e della loro esplorazione congiunta dell'ambiente sonoro così come percepito da udenti e da non udenti (perché c'è, non è silenzio) col fine di tentare poi la restituzione delle loro scoperte in forma verbale e visiva attraverso il film. Poco alla volta la loro relazione si sviluppa come un'improvvisazione musicale, dove l'ambiente sembra rivelare una partitura di onde e vibrazioni cui abitualmente - noi normodotati - non prestiamo attenzione. Il tutto trattato con un sensuale bianco e nero, con il tempo lento della scoperta e della comprensione reciproca dei protagonisti, e melodie solo apparentemente dissonanti.


Un risultato semplicissimo ed estremamente profondo, chiaramente debitore di studi di acustica, ricerche sul paesaggio sonoro e sperimentazioni musicali di lunga data. Ma - pur nell'onnipresente neve che tutto sembrerebbe ovattare - connotato dal tepore che si sviluppa nel delicato dialogo/confronto dei protagonisti, e dal brivido del racconto della pratica abituale della ballerina di posare le mani sull'impianto stereo e mettere in loop un brano musicale finché il suo corpo e la sua memoria non siano perfettamente impregnati di una certa sequenza di vibrazioni, secondo un certo ritmo, sul quale lei disegnerà e interpreterà la propria coreografia.
Qui di seguito una breve intervista a Levin Peter, per chi avesse piacere di approfondire.




martedì 15 novembre 2011

Haikerouac

Quindi inventerò
      L’haiku americano:
      La semplice terzina in rima:-
Diciassette sillabe?
No, “pops” americani:-
Semplici poesie di tre versi

(Note di lettura, 1965)
Libro degli haiku non ancora completato, ma il mio ultimo
haiku è il più bello: Cavallo Pazzo guarda verso Nord
con occhi pieni di lacrime – Nel turbine della prima neve…
vorrei raccogliere tutti gli haiku dai  miei taccuini e farne un libro…

Lettere a Lawrence Ferlinghetti
(23 ottobre – novembre 1961)



(clicca sulle immagini per ingrandirle)




Acqua in una pozza
       -che osserva
I cieli fradici

Ape, perché continui
        a fissarmi?
Non sono un fiore!

Mao Tse-tung si è preso
        troppi Funghi Magici
Siberiani quest’autunno

 Quieta notte lunare-
        Vicino di casa che guarda
Nel telescopio; - “Ooo!”

Calcio mancato 
        allo sportello del frigo
Ad ogni modo, s’è chiuso

Alba, una stella cadente
       -Una goccia di rugiada cade
Sulla mia fronte!

Protetta dalle nuvole,
       la luna
Naviga in sogno

Sul retro del supermercato,
       fra le erbacce del parcheggio,
Fiori color porpora

Guardando furtivamente la luna
       di gennaio, Bodhisattva
fa una pisciatina in segreto

Ignorando il mio pane,
       l’uccello sbircia
Nell’erba

Luna d’agosto-oh
       sento un bollore
Su per le cosce

Ho raccontato una barzelletta
       sotto le stelle
-Nessuno ha riso

La falena addormentata-
       non sa
Che le luci sono di nuovo accese

Rileggo i miei appunti-
       La mosca si sposta dalla
Pagina al dito

Scalzo in riva al mare,
       mi gratto la caviglia
con un dito del piede

Le stelle corrono
       a tutta velocità
Attraverso le nuvole

Chi avrebbe immaginato
       che la luna di gennaio
Potesse essere così arancio!

Un grosso fiocco
       di neve
Cade per conto suo

Finita la pioggia, battiti sul legno
       -una ragnatela
a cavallo dei raggi di sole

Sprofondato sulla seggiola
       Ho deciso di dare all’haiku
Il nome di Pop

Dondolandosi sull’esile perno
       la foglia d’autunno
Quasi si stacca dal gambo

Non ci credereste
       quant’ero ignorante
Fino a ieri

Raccogli una tazza d’acqua
       dall’oceano:
Lì mi troverai

Foglie che cadono dritte
       Nella mezzanotte senza vento:
Il sogno di cambiare

Che si vada per sentieri differenti,
       o per lo stesso-
La luna ti segue ovunque

Nubi bianche su questo pianeta delle nebbie
       intralciano
La mia visione del vuoto blu

Una zanzara di primavera
       non sa nemmeno
Come si fa a pungere!

Perché avrei dovuto aprire gli occhi?
       perché
Lo volevo

Sono così folle
       che potrei staccare a morsi
Le cime delle montagne

Sesso-sbattersi per procreare
       laddove
La provvidenza lo permette

Un fremito, un’ombra-
       Un urlo-
Il balenare d’un lampo

Arriva la primavera,
       Già, tutto il necessario
Per i sospiri

La mia mano,
       Una cosa pelosa,
che s’alza e s’abbassa con la mia pancia

L’albero che ondeggia
       Nella luce lunare
Sa della mia presenza

Foglie che s’azzuffano con
       il cielo vuoto-
Nessuna nuvole le aiuta

Mi sono svegliato
       -due mosche si azzuffavano
Sopra la mia fronte

Sotto una grande bufera
       che seppellisce ogni cosa
Il mio gatto è fuori a cercar compagnia

Sotto una grande bufera
       che seppellisce ogni cosa-
Il mio gatto è tornato indietro

Due nubi si baciano e
       si ostengono guardandosi
L’un l’altra

Un fiore
       sull’orlo di un dirupo
Ammicca al canyon

La seggiola estiva
       si culla da sé
Nella bufera di neve


LA LAMPADINA
       IMPROVVISAMENTE
S’E’ SPENTA-
FINE DELLA LETTURA
                                  
                       

La Beat Generation è una generazione lanciata nell’eternità…L’ultimo tremore di una foglia nel suo essere tutt’uno con ogni tempo, un improvviso bagliore rosso d’autunno.
...La Beat Generation sa tutto degli haiku…
The Beat Generation, 1958
                                                          
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Jack Kerouac, Il libro degli haiku, trad. di Silvia Rota Sperti, Mondadori
i testi e le immagini originali sono tratti da un'edizione speciale del Sole 24 ORE "I grandi poeti - Kerouac" (volume 17)



[ Kerouac, avvicinatosi alla cultura buddhista, scopre la bellezza degli haiku giapponesi, poesie di sole 17 sillabe in grado di condensare un intero quadro di vita in soli 3 versi. Rimane folgorato dalla freschezza e la rapidità di questa forma espressiva, congeniale al suo gusto per la concisione poetica e ai temi che gli stanno a cuore, l’eternità e l’impermanenza, e ne scrive centinaia, in un periodo compreso tra il 1956 e il 1966, annotandoli su diversi taccuini che portava sempre con sé, per non perdere la possibilità di fissare lo stupore per un attimo isolato dagli altri, la volontà di fissare l’armonia prima che essa scompaia. Scrive Regina Weinreich, che ha curato la pubblicazione postuma de Il libro degli haiku,  “Trovare questi haiku è stato un po’ come estrarre oro dal metallo grezzo. Molti di essi – un migliaio circa – erano incastonati in frammenti di prosa, appunti, perfino indirizzi di conoscenti. Altri sono apparsi più volte nell’opera di Kerouac, riutilizzati nelle più svariate occasioni”.   Gli haiku di Kerouac sono lampi di pura illuminazione in cui il grande scrittore riesce a reinventare un genere totalmente nuovo, liberandolo dal vincolo delle 17 sillabe, che può costringere il processo creativo, e lo adatta alla sua immensa creatività. L’antologia presenta infatti diversi tipi di componimenti: alcuni seguono fedelmente i temi della tradizione, altri la deridono, scherzano, altri ancora sono trampolini di lancio per la fantasia dell’autore. Sono questi gli haiku più interessanti di Kerouac: brevi storie appena accennate, scritte con l’acquarello, dipinte con rapidi tocchi.
L’occhio di Kerouac si posa per un attimo nella bellezza del singolo istante e poi fugge altrove.
Infine, aggiungo (ho finito, giuro!), è un peccato che nella traduzione si perda gran parte della musicalità dei versi di questo matto genio americano, attentissimo al suono di ogni singola parola, non il rispetto di forme espressive convenzionali ma essenziale, per lui, è la musica
“Il ritmo con il quale tu ti getti sui tuoi propositi determina il ritmo della poesia, sia che si tratti di una poesia con le righe separate in versi, o che sia una poesia con un’unica riga infinita chiamata prosa”. ]



domenica 13 novembre 2011

Semplicemente, Amore.

Quando ci infuoca, Lui, irrompe furioso e rovente come la lava, e non conosce dettagli cromosomici o diritto di famiglia. Gli uomini, invece, sì.

Una giornata particolare.

Troppe, proterve ed insopportabili, ancora.


giovedì 10 novembre 2011

Go With the Flow. Gesti e rituali del dipingere nell'opera di 2501

Quando si ricevono in regalo immagini e parole come ringraziamento per conversazioni sull'arte, sul processo creativo e non ultimo sul senso (di ciò che si fa) della propria esistenza, mi sembra cosa 'sana' rimetterle in circolo - e far godere quante più persone possibili di tale 'flusso di energia'.
Per tale ragione condivido oggi con voi il testo che Serena Valietti ha scritto (e mi ha inviato con dedica) in occasione della - e accompagnamento alla - mostra Veicolo Adamantino. Personale di 2501 in corso alla The Don Gallery, Milano, galleria d'arte la cui finalità è quella di promuovere la conoscenza della cultura (e il rispetto) della street-art e dei suoi protagonisti.


Go With the Flow. Gesti e rituali del dipingere nell'opera di 2501
di Serena Valietti

Rappresentazione del tangibile e del sacro, mezzo per entrare in contatto con la propria interiorità, via che apre le porte alla meditazione e alla consapevolezza di sé. Questa è la pittura di 2501. La base è la filosofia Buddhista Mahayana, il riferimento sono le tangke tibetane, immagini del divino realizzate su lino bardato in seta e la modalità è quella della ricontestualizzazione.

Nelle sue opere l'artista rilegge in chiave personalissima la pittura sacra orientale, scegliendo materiali, supporti e tecniche radicalmente differenti da quelli tradizionali, ma conserva l'aspetto meditativo della pratica tibetana nella gestualità dell'atto del dipingere. La pittura così si trasforma in un rito che coinvolge corpo e mente, lasciando emergere l'interiorità.

“E il rituale, attraverso i simboli in cui si esprime - scrive Stefano De Matteis - ha una
funzione attiva, mai sclerotica, formale o convenzionale, […] una funzione trasformatrice”.

La metamorfosi di cui parla l'antropologo avviene anche nell'artista, che dipingendo rientra in contatto con il proprio sé, riattivando i canali d'accesso al suo mondo interiore. Le superfici su cui interviene diventano zone di confine, dove il segno e il colore sono gli strumenti necessari per raggiungere un nuovo equilibrio, nato dall'incontro tra l'impeto del gesto e la quiete della pratica meditativa Buddhista.

Dipingere allora diventa un vero e proprio rito di passaggio, una porta d'accesso che si apre su uno spazio che si fa vuoto e silenzioso, quando espresso con delicati intarsi di china e colmo di energia giocosa e solare, quando l'artista lavora alle sue opere annegate nel colore.

Meditazione e giocosità coesistono. Apparentemente distanti, entrambe sono praticate in uno stato psichico di assoluta concentrazione, l'una totalmente ripiegata dentro di sé, l'altra spinta totalmente tesa verso il fare. L'artista che dipinge, colui che medita o il bambino che gioca sono accomunati dall'essere assorti e completamente indifferenti al mondo circostante, non conta lo spazio, né le ore che passano, né la fame o la sete. Conta solo il gesto ripetuto all'infinito, la parola, il segno o la pratica che diventano rituale e generano automatismi, che lasciano spazio allo sprigionarsi di energie mentali essenziali allo sviluppo della creatività.

E' quello che lo psicologo ungherese Mihaly Csikszentmihalyi identifica con il termine flow, l'essere immersi in un flusso creativo: “Quando si è coinvolti in un'attività fine a se stessa l'ego si annulla. Il tempo vola. Ogni azione, movimento e pensiero si susseguono naturalmente, come guidati da una logica interna che non necessita più interventi consapevoli. Si sperimenta un flusso unitario che unisce il prima e il dopo naturalmente, in cui l'intero essere è coinvolto e le proprie capacità sfruttate al massimo”.

Una condizione non troppo lontana da quella della presenza totale della filosofia orientale, dalla pratica del distacco tramite la ripetizione rituale di parole sacre, dell'inconsapevole perdita di sé data dalla completa concentrazione sul fare, tanto da scordare l'essere, che respira e fluisce nell'opera d'arte, finalmente libero dalle briglie della ragione. Uno stato di meditazione profonda, che conduce all'illuminazione.

E proprio a questo si riferisce il termine Vajrayana, Veicolo Adamantino in italiano, una pratica del Buddhismo Mahayana. Vajrayana mostra la via per la liberazione dal dolore, ottenuta raggiungendo uno stato di coscienza illuminato, al di là della vita e della morte, che risveglia il nostro sé addormentato. Una condizione in cui la mente si osserva e osserva il mondo, imperturbabile.

Osservare. Ritrovare un momento per un guardare-attivo, non solo un vedere-passivo.
Guardare l'opera d'arte incuranti del tempo che scorre, fino a perdersi, dimenticarsi di sé e poi ritrovarsi. Come per l'artista quando dipinge, così per chi osserva, questo può accadere solo immergendosi nel flusso, lasciandosi scivolare tra linee e colori in uno stato contemplativo, in cui le macchie di giallo, turchese e verde assumono forme e significati differenti a seconda della propria percezione.

E poi nascosto tra gli acetati e le carte, ma visibile a un occhio attento, emerge il blu intenso del corpo “trasparente come un arcobaleno” di Vajrapani, divinità Buddhista forte di un'energia cristallina in grado di sconfiggere le tenebre e i demoni interiori. Figura dinamica, caratterizzata da rapidità e tensione, elementi che ritornano nella gestualità dell'artista all'opera sugli acetati, dove il colore è tirato con decisione grazie all'aria compressa e indirizzato dai movimenti rapidi del braccio.

In questo dinamismo è racchiuso il legame con un altro gesto, altrettanto fisico e caro all'artista, quello del tracciare una linea con lo spray su un muro. Un gesto guidato dalla necessità di essere rapidi e dalla volontà di essere incisivi propria del writer, che abbandona allo sguardo inconsapevole dei passanti la traccia della propria presenza nelle strade della città.

venerdì 4 novembre 2011

Sculture viventi



Per carità non venitemi a dire che questa non è arte, e non perché non abbiate tutti i diritti di dirlo ma perché, in questi tempi di trapasso epocale, nessuno può arrogare a sé la carica di giudice e fare avventatamente pollice verso di fronte allo stupefacente non catalogabile.

Lo scultore olandese Theo Jansen riesce a infondere il soffio vitale dentro strutture fabbricate con tubi in PVC e trasformarle in creature fantastiche dai movimenti aggraziati e agili. Sono scheletri in grado di camminare alimentandosi semplicemente di vento. Il risultato è qualcosa di incredibile, tra il fantasy e lo steampunk in versione modernizzata.

rubato da che a sua volta l'aveva rubato da

l'erotismo e il senso del bello

ieri pomeriggio ero in palestra; alla fine dell'allenamento, nello spogliatoio, di fronte a me un ragazzo, uscito dalla doccia, comincia a rivestirsi. un viso qualunque, ma un corpo semplicemente perfetto: muscoloso e possente, ma di proporzioni armoniose; muscoli allenati, ma non artificiosamente gonfiati. in un attimo ho pensato: se fossi gay, farei di tutto per farmi rimorchiare da lui. un attimo dopo lo vedo che si infila un paio di calzini corti blu e con indosso solo quelli e le mutande se ne va allo specchio ad asciugarsi i capelli, con l'aggiunta di un paio di ciabatte di plastica blu a fascia che nel mio personale immaginario sono appena un gradino più su delle birkenstock. la sua immagine potenzialmente erotica è crollata in un singolo istante, non mi sarei fatto avvicinare da lui nemmeno se fossi stato gay all'ennesima potenza e in astinenza da settimane.

si sa, l'erotismo dei maschi passa inevitabilmente attraverso gli occhi: i meccanismi di questo son talmente noti che non starò qui a dilungarmi sulla faccenda; ma mi son trovato a riflettere sul fatto che trovo eccitante e desiderabile la mia donna anche appena sveglia, anche quando si aggira per casa ancora assonnata, in pigiama. e non è soltanto per via del sentimento che ci lega, perché il desiderio che mi si accende dentro è di natura squisitamente carnale, e quindi soggiace alla richiesta di soddisfazione dei sensi, nessuno escluso. ma è sufficiente che io indovini la curva delle sue natiche, o che la bianchezza della sua pelle deflagri ai miei occhi, mentre si scosta i capelli dal collo, perché il mio desiderio si scateni, senza quindi bisogno di un apparecchiamento particolare che me la faccia apparire più desiderabile.

il giorno stesso avevo guardato questo documentario, e non ho potuto fare a meno di compiangere tutte quelle donne in esposizione come vacche al mercato: non tanto per il fatto di mostrarsi unicamente come esplicito oggetto di desiderio sessuale (magari a qualcuna piacerà pure e, nel giusto contesto, non ci trovo nemmeno nulla di intrinsecamente malefico), quanto per soggiacere all'inganno che esista un unico modello estetico e che soltanto quello sia capace di accendere il desiderio maschile: visi, corpi e abbigliamento standardizzati su un modello che è proprio della pornografia industriale.

oggi invece mi cade l'occhio su una galleria fotografica di repubblica.it e non posso fare a meno di apprezzare la differenza: c'è ingenuità e a tratti anche un sano atteggiamento ruspante in quelle pose demodé, ma c'era anche un desiderio di attirare l'occhio del malizioso spettatore senza incappare nella spersonalizzazione: donne che accettano di essere viste come oggetto di desiderio, ma rimangono soggetti attivi nel proporre la loro personale idea di seduzione, una mediazione tra l'oggettività del corpo, e della sua peculiare bellezza, e la soggettività dello sguardo concupiscente.



guardo il corpo di un uomo e il godimento estetico che ne traggo è rovinato da particolari di sciatteria, perché in realtà io non lo desidero davvero, ma un desiderio autentico non ha necessità di orpelli didascalicamente maliziosi: si pasce piuttosto di individualità, di unicità. nella realtà delle cose, non a tutti piace jessica rabbit, o perlomeno non piace sempre e solo jessica rabbit, come non a tutti interessa l'ultimo iphone e non a tutti interessa il campionato di calcio, e via discorrendo. ma sta a ciascuno di noi rivendicare con forza il diritto alle opinioni, ai gusti personali e alla loro estrema varietà.