Blog di resistenza all'incedere del brutto


Per me la bellezza è Kurt Cobain che sfascia una Fender, è Mila Kunis che infila la lingua in gola a Natalie Portman, è una domenica mattina dannatamente post-alcolica. Cannibal Kid

Bellezza è un'umanità creata dallo scandito rincorrersi degli opposti, senza ripensamenti. La mia bellezza è libertà. Saharajoyce


continua...

martedì 28 giugno 2011

forse poco bello, ma molto intenso

il mio post di oggi è una reissue, vale a dire che ripubblico una cosa che avevo già pubblicato nel mio blog più di due anni fa. ai miei eventuali detrattori, che troveranno in questa manovra un facile appiglio per dimostrare che in questo periodo non ho niente da dire, risponderò in separata sede, ma non adesso, perché in questo periodo non ho niente da dire.

no, poi va anche detto che ieri sera stavo provando a strimpellare la canzone in questione e mi si è rotta la voce in più punti. e anche in più pezzi. mi si son rotte anche le acque, giù dagli occhi, ma questo lo sottacerò, perché in questo periodo etc. etc.

vabè: sipario.



oggi faccio un'eccezione e parlo del testo di una canzone. di solito il testo è la parte della canzone che meglio mi sfugge: la musica cattura tutta la mia attenzione. se è cantata in una lingua straniera, meglio, perché così afferro di meno il senso delle parole. e poi va detto che molte canzoni rock hanno un testo che sta lì solo per permettere al cantante di emettere dei suoni. ma in questo caso analizzare il testo mi serve per dimostrare la cura estrema che mettono i radiohead nel proporre al pubblico i frutti del loro ingegno.

parliamo di exit music (for a film), da quell'assoluto capolavoro che è ok computer (i dissenzienti verranno decapitati a parte). la canzone parla inequivocabilmente del suicidio di una coppia adolescente. malignando, si potrebbe pensare che il creep dell'album precedente abbia trovato la sua anima gemella e che insieme soccombano sotto il peso della loro sfiga, ma queste sono illazioni di bassa lega, roba da presidenti del consiglio.

ciononostante, il timore che, finito il pezzo, yorke e la sua ragazza si buttino sui binari della metropolitana assale l'ascoltatore come un incombente senso di colpa. yorke è credibile, perché ha scelto le parole giuste:

wake from your sleep
the drying of your tears
today we escape, we escape

tre versi, e il dramma è già compiuto: la notte passata insieme, ma in maniera tormentata. evidentemente qualcosa lacera le coscienze dei due, un dolore intollerabile che lascia un'unica via di uscita, ed è agghiacciante la risolutezza espressa con la semplicità dell'annuncio: oggi noi due scappiamo da tutto questo.

pack and get dressed
before your father hears us
before all hell breaks loose

bisogna fare presto, in silenzio e in segreto. non tanto perché la presenza di estranei potrebbe impedire la concretizzazione del loro intento, ma perché c'è un rito da compiere, qualcosa di comprensibile solo per i pochi iniziati.

breathe, keep breathing
don't lose your nerve
breathe, keep breathing
i can't do this alone

come dire: questa cosa ha senso solo se fatta insieme. ci vogliono solo quattro parole per esprimere il senso estremo della complicità: un essere banale affermerebbe senza di te non posso vivere.

sing us a song
a song to keep us warm
there's such a chill, such a chill

tutti i momenti solenni hanno una colonna sonora. o no?

you can laugh
a spineless laugh
we hope that your rules and wisdom choke you

facile intuire chi siano i voi a cui ci si rivolge: arrivati a quel punto di solitaria complicità, voi è tutto quello che non è noi, e contemporaneamente è ciò che ci impedisce di essere noi in maniera compiuta - le motivazioni di ciò sono ininfluenti: noi siamo nel giusto a prescindere, e siccome ci impedite di dare corpo ai nostri desideri, abbandoniamo il gioco. strozzatevi, con la vostra risata, la vostre regole e il vostro buonsenso.

now we are one
in everlasting peace
we hope that you choke, that you choke

è fatta, tutto è compiuto. noi, nel passaggio da uno stato all'altro dell'esistenza, abbiamo raggiunto uno stato superiore di consapevolezza. voi siete rimasti quelli che eravate, e altro non meritate che il vostro buonsenso vi vada di traverso.

passano i titoli di coda, e si passa alla traccia 5. un trafiletto in cronaca racconterà solo la fine disgraziata di due giovani, starà ad altri il porsi domande, seppure con colpevole ritardo.

lunedì 27 giugno 2011

Come ho iniziato ad ascoltare musica e altre storie stupide

Partecipa anche tu al giochino più cool del momento: raccontaci come e perché hai iniziato ad ascoltare musica! Ecco la mia autobiografia in musica che prosegue idealmente quelle di Minerva Jones, Lucien e Indie Rocker e magari quelle di altra gente, ma non è che adesso posso stare a citare tutto il mondo...

Questa è la mia storia con la musica ed è una storia che parte da lontano. Non così lontano. Non da Elvis o dai Beatles. Non sono così vecchio, cazzo. La mia storia parte da Cristina D’Avena. Perché la storia del mio rapporto con la musica è piena di momenti imbarazzanti e non so se ciò sia dovuto al periodo storico in cui sono nato e cresciuto (quello a cavallo tra gli 80s e i 90s che qualcuno potrà considerare terribile), o se ciò è dovuto ai miei discutibili gusti (cosa probabile) o al fatto che qualcun altro raccontando la sua storia personale preferisce citare solo tutti i gruppi giusti, omettendo volutamente i dischi della vergogna (bravi furbastri!). Io che ormai la dignità l’ho persa da molto tempo ho però preferito riportare tutto, senza censure.

La copertina me la ricordavo un filino diversa...
Il primo step come anticipato è stato con le sigle dei cartoni animati di Cristina D’Avena, come penso in molti altri della mia generazione (ma anche di quelle precedenti e pure successive, visto che Cristina D’Avena è ETERNA) e la prima musicassetta che i miei genitori mi hanno appioppato è stata un qualche volume di Fivelandia. Siete nati con l’iPod e non sapete cosa diavolo sia una musicassetta? Come fare a spiegarvelo? È quell’oggetto strano con un nastro avvolto intorno che si sfilacciava sempre e quando la suonavi sul registratore sentivi il rumore fastidioso del nastro che girava e la qualità era davvero rudimentale e sì, insomma, è quell’oggetto che sembra un VHS, solo più piccolo. Ah già che non saprete nemmeno cos’è, un VHS. Vabbè, googlatevi allora la parola “musicassetta” e capirete senza farmi perdere ulteriore tempo.

Il primo impatto con la musica non fanciullesca è però avvenuto solo successivamente, nel periodo 1995/96, quando facevo terza media. Fino ad allora non mi ero mai interessato molto a band e artisti, ma è in quel periodo che per me tutto è iniziato. Ho cominciato ad appassionarmi alla musica con Radio Deejay e con Mtv. Sì, è vero, e non me ne vergogno affatto. Allora Mtv era ancora Mtv Europe e andava in onda se non ricordo male su Tele+ 3 e poi venne la prima Mtv Italia con Andrea Pezzi ed era una figata pure quella e c’erano anche Videomusic poi diventata TMC2 poi diventata Viva poi diventata qualcosa d’altro. Non me ne vergogno perché sono contento di essere cresciuto dando attenzione a tutti i generi musicali, dall’alternative rock al brit-pop, dal pop commerciale all’hip-hop fino alla musica elettronica, un aspetto magari scemo magari folle che ho comunque mantenuto nel corso degli anni e che mi ha portato a considerare Daft Punk o Chemical Brothers molto più rock di AC/DC o Deep Purple (sbadiglio in automatico al solo menzionarli). Per dire.

La prima musicassetta (e sì, c’erano ancora quelle e costavano meno dei CD) che ho comprato volontariamente è stata “(What’s the Story) Morning Glory” degli Oasis. Allora stavo proprio in fissa con il brit-pop e con il post-grunge. La fase grunge vera e propria invece me la sono persa. Quando ho iniziato ad ascoltare musica Kurt Cobain era morto da poco e per me è sempre stata una presenza mitologica, un mistero ancora inspiegato. Kurt era l’esatto opposto dei tanti idioti in giro oggi. Lui aveva talento, genio vero, ma non poteva reggere tutto il successo che questo gli aveva portato nella sua vita. Adesso vogliono tutti diventare famosi senza essere capaci di fare niente. È l’esaltazione della medietà, della reality-fama, di una ricerca che io non ho mai compreso. Forse è per questo che la fuga di Kurt da tutto questo, per quanto tragica ed estrema, mi è sempre sembrata affascinante e poi non così priva di senso. La ricerca del successo a tutti i costi, quella sì mi sembra assurda.

Sono cresciuto con quest’ombra, questo fantasma di un periodo che non sono riuscito a vivere “live” per pochissimo. La mia adolescenza si è quindi inserita fondamentalmente dentro il periodo post-grunge da male di vivere capitanato dagli Smashing Pumpkins, cui è seguito l’arrivo, come un vero Avvento, di quel botto di “Ok Computer” dei Radiohead. Però ascoltavo davvero di tutto, il rap di 2Pac e Fugees e Coolio con “Gangsta’s Paradise” (il mio pezzo preferito da ragazzino), ma anche la dance tamarra di Gigi D’Agostino e del Deejay Time con Albertino e il trash pop di Spice Girls, Robbie Williams e Britney Spears. Lo so, ho ormai perso anche l’ultima ombra di dignità rimastami addosso.

La tappa successiva nella mia crescita musicale è stata segnata da Napster. Se ho acquistato il mio primo (ok) computer non è stato perché mi interessavo di informatica, o di videogame, o di porno (beh, magari quello un pochino), ma proprio per partecipare a quella rivoluzione musicale. Napster è stato il nostro ’68, il nostro modo di mandare affanculo il sistema, le casi discografiche, persino quell’Mtv con cui siamo cresciuti, e sceglierci da soli la musica che volevamo sentire, senza filtri o senza che qualcuno dall’alto ce lo imponesse.
Napster ha sicuramente cambiato la mia vita, non so se in bene o in peggio, e anche i miei gusti musicali. Da lì in poi nell’ultimo decennio mi sono spostato sempre di più verso l’elettronica, l’hip-hop e verso quei gruppi indie e sconosciuti che prima era un’impresa procurarsi nel negozietto di dischi locali (visto che spesso in Italia non venivano nemmeno distribuiti) e tutta la musica del mondo è diventata finalmente a portata di click. Una vera goduria soprattutto per chi come me si annoia a sentire sempre lo stesso artista e lo stesso gruppo e lo stesso disco e lo stesso genere e le stesse canzoni mandate a memoria e vuole invece ascoltare cosa?
TUTTO

giovedì 23 giugno 2011

tracce


Le sembro morta? Mi vede? Son qui protesa verso la sua mano. La avvicini. Mi tocchi. Segua le strisce ruvide, intense, sovrapposte, le accarezzi. Ora passi su arancione e rosso, mi sente? Mi muovo all'interno della tela, attraverso le sue dita appoggiate lievi, ora spinga più forte, venga, entri, non abbia paura, non si agiti, la tengo io. Le spiegherò. Si schiarirà, la materia oscura che non interagisce solitamente con l'universo esterno, si rispecchia nella forma comune in un'armonia cosmica e si fa percepibile solo in virtù di grandi doti di sensibilità e astrattismo lirico. È comparsa nella penombra della sala. Propensa e trasparente. Molti son sfilati. Freddi, distanti, netti, necessari. Lei invece è informale, soffusa, emotiva, plastica, superflua. L'ho avvertita subito. Lei sa ascoltare, lei è capace di stimolare e trasmettere. Parte alla scoperta degli spazi immensi, si inarca splendida aderendo alla straniata deformazione prospettica. Si avventura in strada tra scorci inesistenti e impossibili linee e piani in una fantastica notte in città, mi perdo, urla, e nell'atmosfera sospesa si eclissa dietro una parete mozza, mentre intorno si elevano grattacieli infiniti sviluppandosi in angolatura curvilinea da grandangolo. Potremo tornarci quando vogliamo: è il nostro deserto, la visione contrastante e fulgida, la sorpresa della luce e del colore, l'identità e la forza della natura che prende il sopravvento e riempie, trasformandosi in paesaggio antropomorfo fatto di ghirlande di curve e anfratti caldi di grande sensualità. Aboliamo i formalismi, m'invita. Ha tratto nuovi spunti, gioca con l'esterno, spruzzando particolari e raccogliendo reperti e impressioni. I ruoli si sono invertiti, e questo sembra divertirla molto. Impossibile non notarlo. Riesce a dipingere e a scatenare nuove emozioni. La nostra intesa è naturale e scolpita come nella rossa argilla. La nostra visita è diventata soggiorno dislocato indistinto stemperato instabile… il tu mi rapisci una preziosa opera dissoluta incastonata nel nulla ma dall'impronta indelebile.

in alto Georgia O'Keeffe, Music-Pink and Blue II, detail, 1919. Oil on canvas.
Whitney Museum of American Art, New York


martedì 21 giugno 2011

Amando s'impara

Tutti ci innamoriamo. Tutti quanti noi cadiamo nella trappola. Tutti ci perdiamo nell'oblìo. Tutti soffriamo e godiamo per amore. E come viviamo queste situazioni? C'è chi si tiene tutto dentro (tipo io che devo "carburare" prima di proferire parola) e chi esterna (come me in questo periodo) magari usando lo scritto. Cerco di farmi capire. A volte a voce tante cose non le dici mentre scrivendo ti vengono fuori facilmente. Mi hanno detto che questi pensieri sono belli e allora ho deciso di condividerli anche qui.


Un uragano mi sta travolgendo,
un maremoto che vorrei riversare sù di te.
Ho imparato che l’amore è diversità,
non solo condivisione.
L’amore è anche “mi piace”
ma solo in minima parte.
Vorrei fulminarti, calpestarti,
schiacciarti, umiliarti.
Vorrei elevarti al grado dell’ennesima potenza,
vorrei che tu fossi infinita.
L’amore è una guerra calda,
la gelosia è il fioretto.
Sono come un malato,
uno di quei pazzi pazzi per davvero
perchè in fondo quella che provo
è solo pura follia.
Sono sempre stato un sognatore
ma ora ho realizzato che esiste
chi sogna più di me,
chi osa più di me.
Esisti tu.
Ti farei a brandelli amore,
sputando ogni parte
salvo poi rimasticarla.
Sei una fiamma che mi riscalda,
mi brucia sopra
logorando ciò che sta dentro.

lunedì 20 giugno 2011

Prospettive 'altre' nella percezione della vita

Scrivo spesso del modo in cui il nostro soggettivo punto di vista, le nostre esperienze, il nostro specifico passato, ci portino a valutare un determinato oggetto/evento in un modo piuttosto che un altro. Ovvero, detto in termini fenomenologici, dell'oggetto/evento non potremmo mai cogliere l'essenza - e quindi nel nostro caso non esisterebbe qualcosa di 'bello' in sé - ma potremmo soltanto discutere del modo in cui lo percepiamo.
Premesso ciò, io ho spesso cercato sguardi 'altri' rispetto a quelli ricorrenti nelle diverse comunità umane proprio perché sono attratta dalla diversità in cui si esprime l'essere umano sul pianeta. La diversità poteva essere di ordine culturale oppure poteva esistere anche all'interno di una stessa comunità nel caso di individui che in qualche modo fossero 'diversi' - e mi riallaccio qui al post di Alberto della settimana scorsa.

Ma anche non riferendosi a disabilità permanenti - sulle quali appunto da quel post abbiamo imparato una bella lezione - le medesime malattie croniche e in vario modo invalidanti, specie quando ti mettono una sorta di potenziale 'data di scadenza' ravvicinata al corpo e alla vita, ti cambiano molta della tua percezione dell'esterno. E ti rendono tutto dannatamente intenso, felice e appassionante. Te lo rendono 'denso' di una bellezza assoluta. Perché ammantata di bellezza è la relazione che vivi da quel momento in poi con la vita stessa, e con qualsiasi componente ne faccia parte - nel bene e nel male.
In rete ho trovato nel tempo due amici che oggi derubo parzialmente di due loro post - sperando non ne abbiano a male - perché parole migliori non avrei saputo trovare per esprimere qualcosa che provo quotidianamente anche io. Sono parole che mi devastano emotivamente ogni volta che le leggo, ma è una buona devastazione. Spero sarà così anche per voi. Buona lettura, e buona vita!


Io ridevo, di Gio

Me ne stavo li nel mio letto d'ospedale: 42 chili, sudato, con il dolore di ogni giorno messo in ombra da quello violento del ricovero.
Ero uno scheletrino, e sfiguravo perfino a cospetto degli anziani che erano in stanza con me.
Me la passavo piuttosto male: tre drenaggi affondati dentro, senza più forze, provato da un'esperienza davvero difficile.
Chiuso in un ospedale malandato, era un luglio infuocato, dentro mi agitava il terrore di prendermi un'infezione cattiva, come quella che mi aveva quasi ucciso da bambino.
Non riuscivo neppure ad ascoltare la musica, era terribile la pressione del mio cervello sulle pareti del cranio, nè potevo girarmi sul fianco, e la mia schiena era sfondata da un materasso scomodo, e la canottiera sempre bagnata di sudore, e la mia pelle si faceva trasparente e pallida.

E io ridevo.

Ridevo perchè pensavo a tutte le donne cui avrei fatto una corte sfrenata, ed erano già tutte bellissime, e perfino i loro due di picche erano meravigliosi.
E con l'immaginazione ero di nuovo in Piazza Duomo, a Milano, dopo aver ripreso da solo il tram per la prima volta, e i miei cani, al ritorno a casa, ne ero sicuro, m'avrebbero adorato, perchè l'avrebbero capito alla perfezione.

E' per questo che amo la vita.

Perchè vista da qui è bellissima.

*****

il mio corpo, di FrammentAria (sì, proprio la FrammentAria della nostra banda!)

eco

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Non ho mai avuto il culto del mio corpo. E' pur vero che vivo intensamente il mio corpo. Attraverso esso. Ho bisogno di toccare, di sentire con le dita la tessitura di un oggetto, le pulsazioni di una pelle, la frescura del mare. Ho bisogno di camminare a piedi nudi, sentire le venature del legno, affondare le dita nella sabbia. Ho bisogno di guardare. Dio! Divoro il mondo con gli occhi. Se guardo un albero lontano cerco di sentire le foglie tra le dita, e sento l'odore della corteccia. E ho bisogno di ascoltare. Quanti pomeriggi d'estate passati ad ascoltare il canto delle cicale nel mio giardino. Non ho il culto del mio corpo. Non mi importa se è bello. Ma è la mia voce. E ho sempre creduto fosse mio. Di più, ho creduto che il mio corpo fossi io. Che io fossi i miei occhi. E il mio sorriso. E le mie mani. Quando il mio corpo si è ammalato sono rimasta allibita. Si è ammalato senza senza avvisarmi. Da sé. Si è lasciato aggredire senza dirmi nulla. Può uccidermi il mio corpo! Come può farmi una cosa simile? E all'improvviso il mio corpo non è più mio. E' un estraneo. Non posso far nulla. Non è come decidere di aprire gli occhi e aprirli. Non è come decidere di toccarsi i capelli e toccarseli. Non è come decidere di correre e correre. Non è più mio. E così rimango sola. Senza il mio corpo che m'ha tradita. E la paura invade ogni poro. E' la paura di non sapere. Non sapere cosa accade dentro di te. Se il tuo corpo è ancora con te o ha deciso di abbandonarti. E ti manca l'aria. E non riesci più a guardare. A toccare. A respirare. Finché non ti accorgi che così anche tu ti abbandoni. E allora faticosamente ricominci. apri gli occhi e guardi, ti tocchi i capelli, corri....fino a quando? Non lo so. Mi curo. Guarisco. Mi controllo. Non so ciò che sarà domani. Faccio pace col mio corpo. Non posso far altro. Accettare la paura, e considerarla parte di me. Ho due braccia, due gambe, la pelle bianca, i capelli ramati, e la paura. La lascio scorrere sotto pelle. E vivo. Com'è bella quella nuvola bucata da un raggio di sole! E ho amato...e il mio corpo è stato di nuovo mio. Come è bello l'odore dell'amore, e le carezze dell'amore, e gli sguardi dell'amore, e la voce dell'amore. Sentire l'amore che mi attraversava la pelle, e mi penetrava fin nelle viscere. ogni parte di me ne era inebriata.  E il corpo è stato di nuovo mio.

giovedì 16 giugno 2011

Igor Mitoraj

Io non vorrei utilizzare molte parole per parlare di Igor Mitoraj, anche perchè non saprei proprio cosa aggiungere alla bellezza esplicita delle sue opere che si offrono al nostro appagamento totale.
Io ne sono incantata...

Igor Mitoraj è un'artista polacco il cui stile è fortemente radicato nella tradizione classica, con una particolare attenzione ai busti maschili.
Mitoraj presenta, tuttavia, anche una svolta post moderna attraverso l'ostentata enfatizzazione dei danni subiti dalle sculture classiche, ottenuta mediante la realizzazione di arti e teste troncati.
Ad Agrigento dal 27 febbraio 2011, nella Valle dei Templi, sono esposte all'aperto 17 gigantesche opere bronzee dell'artista polacco, che fanno mostra della loro bellezza e della loro mole accanto ai millenari templi dell'antica Magna Grecia.
Le opere raffigurano personaggi mitologici facilmente riconoscibili come gli dei Venere, Eros, Icaro e il Centauro che si aggiungono a quelle già presenti nel parco archeologico.
Il video che oggi vi propongo è correlato da un tappeto sonoro molto appropriato e ci accompagna nella visione di queste meraviglie che si sposano perfettamente, a mio avviso, ai reperti archeologici preesistenti.

Il fascino dalle corde vocali - Capitolo II

Mettete assieme una ragazza danese, un pianoforte e una voce fatata: cosa ottenete? No, non è quello che state pensando (la barzelletta di un vecchio e vanesio capo del governo di un paese a caso) ma si tratta di arte. Philarmonics, il primo album di Agnes Obel. Il pianoforte è il filo logico lungo il quale nasce, cresce e si articola l'album d'esordio della cantautrice nata nella terra della sirenetta e "trapiantata" a Berlino. Due canzoni sono state scelte rispettivamente da un programma televisivo teutonico e dalla serie tv americana Grey's Anatomy come colonne sonore (anche se popolarità non equivale a qualcosa di buono). Agnes non cerca lo sfarzo di Lady Gaga nè l'ostentazione di Rihanna ovvero le vere icone pop (sigh) del momento. C'è un brano che mi ha subito colpito perchè sembra una ninna nanna (non nell'accezione negativa ma perchè concilia il riposo, lo stare tranquilli) cantata da una fata in mezzo ai boschi: Just So.
Tutte le canzoni a eccezione dell'introduttiva Fallin, Catching hanno come "colonna portante" il pianoforte e la sua voce. Un viaggio nei luoghi dello "spirito" che per il sottoscritto non coincide con l'anima o altri concetti dei dogmi religiosi. Agnes Obel ti cattura subito perchè non ha l'esplosività di Simone Simmons: al contrario ti culla come un pargoletto in braccio alla madre.

Non riesco ad inquadrarla in una categoria, in un'etichetta. Un genere che non è un Genere. Un miscuglio semplice e innovativo allo stesso tempo, un esperimento interessante che spero continui. Agnes Obel fa viaggiare l'ascoltatore, lo coccola. 12 brani da ascoltare e riascoltare, assaporare e riassaporare.







mercoledì 15 giugno 2011

Come "vedono" la bellezza i ciechi


Quando sento dirmi: «Peccato che tu non lo puoi vedere... ma non sai che bello ecc. ecc.», vorrei rispondere sempre: «Guarda che chi non vede sei proprio tu, illuso di "vedere" ancora qualcosa di "bello". Le cose belle non si vedono realmente, puoi vederle solo se vedi come me, che sono cieca sì, ma più vedente di te, perché io vedo, sento ed elaboro, tu invece fai solo un meccanico ed inconscio movimento con gli occhi che, captata un'immagine, la trasmettono al cervello il quale, a sua volta, se non è stato "divinamente preparato", poco elabora, anzi spesso non elabora proprio. E solo mentre mi dici "peccato che non puoi vedere..." già so che il tuo cervello non elaborerà mai!».

Noi ciechi possiamo comprendere molto della realtà, anche senza occhi... peccato che solo da poco qualcuno ha cominciato a dirlo. Di seguito l'ultima "scoperta", che vale anche per me che sono cieca da pochi anni e sono pure mezza sorda, figuriamoci per chi ci nasce ed ha un superudito, quindi prima di sparare alcune frasi "diversamente intelligenti", collegate il cervello, perché un cieco non è un malato o un disabile cognitivo, vede solo diversamente da voi, cioè vede come si dovrebbe vedere in questo drammatico momento di casino planetario: io vivo quanto vivete voi ecolocalizzandomi (a volte anche teletrasportandomi).

Io sento e di conseguenza so, chi usa solo gli occhi fa il simulatore di una gelida videocamera, nient'altro, quindi non sente e di conseguenza manco sa, però siccome non ha il marchio dell'Inps come "invalido", si sente "superiore" a me che invece il marchio ce l'ho. Vorrei che chi mi legge ricordasse sempre una cosa: dietro a quel marchio per disabile dell'Inps, quasi sempre c'è chi vede, sente e capisce meglio di chi ha l'illusione di essere "normale". Peccato che in Italia ancora non lo si capisca!

Rubato da questo post dell'amica Laura che potete vedere nel video sotto. So bene che il discorso è molto complesso.

lunedì 13 giugno 2011

Favela Painting - Il colore che vivifica Santa Marta

Girovagando in rete stamane ho incontrato il progetto Favela Painting promosso dai designer olandesi Jeroen Koolhas e Dre Urhahn come iniziativa di rinnovamento urbano nella comunità di Santa Marta a Rio de Janeiro. Personalmente a me piace molto sia l'idea in sé, sia la sua realizzazione attraverso la formazione e il coinvolgimento degli stessi abitanti - ragion per cui penso possa godere d'un piccolo spazio anche in questo nostro blog.

Questo l'aspetto della favela prima dell'intervento:


Questo invece il progetto sulla carta e la sua attuazione - per la quale gli abitanti del luogo sono stati formati alle tecniche e alle misure di sicurezza necessarie per realizzare l'intervento:




E questo, infine, il mirabile risultato :-)






Per saperne di più del progetto, oltre che sul loro sito, ne trovate il racconto anche in questo video. Buona visione, con l'augurio di lasciarvi ispirare :-)


venerdì 10 giugno 2011

Abuela Grillo

Stasera ho rubato questo bellissimo video che è in tema con i referendum prossimi ai quali siamo chiamati a partecipare, non ho pensato di postarlo per questioni politiche ma per la poesia con cui racconta dell'acqua come il bene comune più prezioso che la nostra madre terra ci regala.  


Abuela Grillo - "Nonna Grillo" - è un breve ma emozionante cartone animato sui popoli e il loro diritto all'acqua Bene di tutti e pubblica. Questo toccante lavoro creativo è il risultato di una iniziativa di scambio culturale avvenuta tra la Bolivia e la Danimarca, realizzata grazie alla collaborazione di artisti di cinema di animazione boliviani assieme al dipartimento di formazione pedagogica danese The Animation Workshop, con il sostegno della Comunidad de Animadores Boliviani e la Reale Ambasciata di Danimarca.
Il percorso di Abuela Grillo - Nonna Grillo
Il cortometraggio di animazione è stato prodotto nel corso del 2009 presso "The Animation Workshop", la più importante scuola di animazione Danese, e una delle più prestigiose in Europa. A tal fine, otto animatori boliviani hanno ricevuto una borsa di studio per cinque mesi per apprendere l'antica arte del fumetto e nel contempo applicarsi nella realizzazione del film di animazione.
Gli otto artisti coinvolti in un tale progetto sono: Alejandro Salazar, Susana Villegas, Cecilia Delgado, Joaquín Cuevas, Miguel Mealla, Nina Romano, Maurizio Salvador Pomar e Sejas.
Tutto questo lavoro artistico è stato realizzato sotto la direzione dell'importante maestro animatore francese Denis Chapon.
Abuela Grillo - Nonna Grillo è un adattamento di un mito Ayoreo. La versione animata di questa storia diventa una favola che affronta una questione fondamentale nel mondo contemporaneo: la lotta dei popoli contro la mercificazione dell'acqua.
La celebre cantante e ora ambasciatrice della Bolivia in Francia, Luzmila Carpio, dona magistralmente la sua voce e il suo canto al personaggio di Abuela Grillo.
Questo cortometraggio rappresenta un encomiabile e portentoso pietra miliare tra i capolavori dell'arte del cinema di animazine boliviano, ed è il primo prodigioso frutto di un progetto su larga scala che include l'implementazione futura di diverse produzioni del cinema di animazione e della formazione di artisti boliviani in vari campi di questo importantissima arte creativa.

Abuela Grillo - Grillo nonna è stato presentato e riproposto in vari momenti nella Conferenza mondiale sui cambiamenti climatici e dei popoli diritti della Madre Terra che si è tenuta dal 19 al 22 aprile scorso a Tiquipaya, Cochabamba città simbolo per la lotta di tutti i popoli e i cittadini che lottano per confermare il diritto inalinabile dell'acqua Bene Comune.

la bellezza, là dove non te l'aspetti

cammini per le strade del centro in una brutta città industriale, in una serata buia appena appena rischiarata dalla presenza di tre individui di ineguagliabile luminosità interiore (e soprattutto modesti), quando incroci un tizio, dall'aria assolutamente anonima, che fischietta camminando.

il motivo che fischietta, lo conosci anche tu, e ti viene spontaneo proseguire la melodia, prima silenziosamente, assaporandola con il ricordo, poi fischiettandola, in automatico, anche tu. che cos'è? è questa:



e trovi che ci sia del bello nello scoprire che non sei l'unico che per strada fischietta jazz, o i concerti brandeburghesi. bellezza e cultura nelle strade, nei cuori delle persone comuni, non solo nelle gallerie e negli auditorium. questo sì sarebbe rivoluzionario.


giovedì 9 giugno 2011

frammenti



Non so come descrivere il mio lavoro, perché non è mai la stessa cosa, sarebbe come chiedere a Miles Davis: com'è il suono della tua tromba? Sono graffiti, sono pittura, sono vita quei segni, quel colore di cui s'ammanta un muro, una tela, una lastra di metallo; sono scritti, sono invettiva, sono pensiero quelle lettere, quella rabbia che caratterizza i personaggi ritratti, divisi, sezionati… a tratti si annulla l'intera opera, a volte viene sommersa e ricoperta da un pugno nell'occhio, dal nero di un taglio, dal sangue che corre dalla ferita sempre aperta.


Le città sono lo scenario della sua arte, la materia prima e lo strumento, la sua firma e le sue idee sono riportate indelebili e spruzzate dappertutto, rivoluzionarie o nonsense, si propagano, si diffondono e conquistano, nero su bianco, sottolineate, invadono angoscianti, rabbiose, vogliono costituire corpo e mente della denuncia sociale contro il razzismo, della sua ribellione al conformismo, SAMe Old shift, della lotta ai fantasmi orribili che lo perseguitano. Quale mente? La sua geniale, quale corpo? Parti, membra, selvaggiamente lese ed esposte; le guardi, le accarezzi ed è come se si ricomponessero, come se riacquistassero l'energia perduta, come se riconquistassero l'integrità e la pienezza, verità e mezze verità, depennate ad arte che si riappropriano della propria identità e dell'anima…

Cancello le parole in modo che le si possano notare. Il fatto che siano oscure spinge a volerle leggere ancora di più.
Jean Michel Basquiat



dall'alto: Jean-Michel Basquiat Untitled, 1981 Acrylic and oilstick on canvas;
Jean-Michel Basquiat Riding with Death, 1988 Acrylic and oilstick on canvas;
Jean-Michel Basquiat In Italian, 1983 Acrylic, oilstick, marker, and assemblage on canvas mounted on wood supports.

mercoledì 8 giugno 2011

Per Amina Abdallah


L'immagine è una "piccola dedica disegnata" - così lui stesso la definisce - di Gianluca Costantini per Amina Abdallah, l'attivista femminista queer rapita/sequestrata in Siria qualche giorno fa. Animatrice del blog A Gay Girl in Damascus, oppositrice del regime di Assad e lucida critica del cosiddetto pinkwashing, Amina è un concentrato di "bellezza" che probabilmente i sostenitori dell'incedere del brutto non possono tollerare. Non lasciamola sola in questo momento.

lunedì 6 giugno 2011

Sinfonie della città: Ruttmann e Goldenbeld

Walter Ruttmann (Francoforte sul Meno, 28 dicembre 1887 – Berlino, 15 luglio 1941) si avvicina alle problematiche avanguardiste del cinema di puro ritmo e astratto realizzando tra il 1919 e il 1925 cinque film, che genericamente intitola Opus (I-V), in cui fa muovere forme geometriche piane nella terza dimensione apparente, riuscendo così a creare l’illusione di cubi, sfere e parallelepipedi che «danzano» su tempi metronomicamente determinati, retti da musiche da lui appositamente composte. Esaurita la ricerca sul cinema astratto, ne applica i risultati sul ritmo nel documentario Berlin: Die Sinfonie der Großstadt(1927, 65min). Film muto, esso viene nondimento musicato con una partitura per orchestra a opera di Edmund Meisel, che potete ascoltare nella clip che vi propongo in questa sede.

Berlin: Die Sinfonie der Großstadt ritrae la vita della città di Berlino in uno stile semi-documentario, in cui le immagini sono montate senza alcun contenuto narrativo esplicito. Nonostante ciò, gli eventi del film sono disposti in modo da simulare il passaggio di un solo giorno (simulata da un assemblaggio di film girato durante il periodo di un anno) dall'alba al tramonto. Le sequenze sono montate sulla base di rapporti di immagine, movimento, punto di vista e contenuti tematici per un totale di cinque atti, e ogni atto è annunciato attraverso una scheda titolo all'inizio e alla fine. Presenti in tutti gli atti treni e tram, che costituiscono un elemento visivo e ritmico ricorrente e di raccordo tra le diverse parti del discorso visivo.


Ho pensato immediatamente a Ruttmann venendo oggi a conoscenza di un'opera presentata di recente a Milano. Akko Goldenbeld ha progettato l'installazione Stadsmuziek, ovvero un carillon in legno di grosse dimensioni collegato a un pianoforte, dove la partitura è costituita da un rullo che riproduce in 3D la mappa della città di Eindhoven nei Paesi Bassi. Le critiche mosse all'opera, pur apprezzata nell'originalità dell'idea, sono relative alla sonorità sgradevole ch'essa produce.

Per chi si occupa di etnografia dei luoghi, però, anche il suono che si genera da una mappa in 3D di una città è fonte di informazioni: possiamo mettere in relazione il suono prodotto con l'organizzazione degli spazi abitati e questi ultimi in relazione alle diverse scelte abitative ed esistenziali. Ovvero siamo in presenza di una sequenza sonora che è direttamente prodotta dagli spazi della casa e del lavoro di persone impegnate in diversi movimenti/attività/direzioni specifici e individuali, di contro alla frequente silenziosità della campagna e dell'ambiente naturale dove in gran parte i ritmi e la attività del quotidiano sono comunitari o si disperdono in spazi aperti.

La sonorità stessa così prodotta a me richiama metaforicamente - nella sua dissonanza - l'ambiente sonoro della città che non può non disturbarci, talvolta, ma che sempre è il riflesso dell'esistenza dei suoi abitanti. Per questa ragione, alla fine, a me anche questa assenza di una specifica melodia risulta gradevole: perché in essa - lasciandomi andare all'immaginazione - sento le vite e le anime di coloro che abitano un luogo. Una miriade di vite e anime diverse :-)

domenica 5 giugno 2011

le fate


Le fate sono delle creature leggendarie, esseri magici, spiriti della Natura che hanno affascinato da sempre l'umanità e dimorato nella nostra fantasia di fanciulli.
Fin dai tempi più remoti si è sempre ritenuto che quelle creature rappresentassero l'infinità contenuta nel cuore e nell’anima di ciascuno di noi, che avessero origini più antiche di quelle umane e perfino di quelle animali che variavano a seconda delle varie culture europee.
Una tradizione popolare, ad esempio, diffusa nelle campagne influenzate dalla cultura celtica afferma che questi esseri fatati siano "angeli caduti", condotti fuori dal paradiso da Lucifero ma non abbastanza crudeli da essere rinchiusi nell’inferno e quindi destinati ad abitare sulla terra; inoltre si afferma che in base al luogo del loro atterraggio essi assumano le caratteristiche dell’ambiente, come ad esempio le fate cadute nell’acqua che si sono trasformate in ondine o ninfe marine.
Le fate sono tutte di sesso femminile ed hanno le sembianze di una donna piccola e gracile dalla pelle chiarissima, quasi perlacea, il loro abbigliamento è quello tipico delle donne del XIV e XV secolo con il caratteristico Hennin (ovvero un lungo cappello conico o a tronco di cono) ed abiti variopinti di un unico colore che rispecchia la loro personalità.

Nelle arti figurative esiste un movimento artistico tipicamente british chiamato fairy art che ha a che fare con la raffigurazione di fate in pittura, illustrazione e fotografia e durante il Periodo Vittoriano la raffigurazione artistica delle fate conobbe il suo periodo di massimo splendore con artisti come Arthur Rackham e John Anster Fitzgerald.

Nonostante le fate siano creature immaginarie, nel tempo ci sono state diverse dichiarazioni di avvistamenti supportate anche da foto ma che poi sono risultate false e comunque mai nessuno è riuscito a dimostrare scientificamente la loro esistenza.

Io, invece, posso farlo!
Le fate esistono, solo che oggi non hanno più quell'aspetto gotico che le rende eteree, irraggiungibili, oggi sono così reali che si possono toccare e vedere tutte le volte che vogliamo.
Oggi le fate conservano sempre il loro aspetto esile ma invece di volare con le loro alette, danzano sulle punte.
Sto parlano delle ballerine di danza classica.
Non vi sembra magico riuscire a ballare sulle punte dei piedi e saltare e muoversi con tale grazia?
La loro abilità è frutto di sacrifici e studio incessante finalizzati alla perfezione che le ha trasformate in esseri fatati e che ci trasportano in un mondo dove tutto è luce e bellezza.

sabato 4 giugno 2011

Ciò in cui credo di J.G. Ballard

"Credo nel potere che ha l’immaginazione di plasmare il mondo, di liberare la verità dentro di noi, di cacciare la notte, di trascendere la morte, di incantare le autostrade, di propiziarci gli uccelli, di assicurarsi la fiducia dei folli.

Credo nelle mie ossessioni, nella bellezza degli scontri d’auto, nella pace delle foreste sommerse, negli orgasmi delle spiagge deserte, nell’eleganza dei cimiteri di automobili, nel mistero dei parcheggi multipiano, nella poesia degli hotel abbandonati.

Credo nelle rampe in disuso di Wake Island, che puntano verso il Pacifico della nostra immaginazione.

Credo nel fascino misterioso di Margaret Thatcher, nella curva delle sue narici e nella lucentezza del suo labbro inferiore; nella malinconia dei coscritti argentini feriti; nei sorrisi tormentati del personale delle stazioni di rifornimento; nel mio sogno che Margaret Thatcher sia accarezzata da un giovane soldato argentino in un motel dimenticato, sorvegliato da un benzinaio tubercolotico.

Credo nella bellezza di tutte le donne, nella perfidia della loro immaginazione che mi sfiora il cuore; nell’unione dei loro corpi disillusi con le illusorie sbarre cromate dei banconi dei supermarket; nella loro calda tolleranza per le mie perversioni.

Credo nella morte del domani, nell’esaurirsi del tempo, nella nostra ricerca di un tempo nuovo, nei sorrisi di cameriere di autostrada e negli occhi stanchi dei controllori di volo in aeroporti fuori stagione.

Credo negli organi genitali degli uomini e delle donne importanti, nelle posture di Ronald Reagan, di Margaret Thatcher e della principessa Diana, negli odori dolciastri emessi dalle loro labbra mentre fissano le telecamere di tutto il mondo.

Credo nella pazzia, nella verità dell’inesplicabile, nel buon senso delle pietre, nella follia dei fiori, nel morbo conservato per la razza umana dagli astronauti di Apollo.

Credo nel nulla. Credo in Max Ernst, Delvaux, Dalì, Tiziano, Goya, Leonardo, Vermeer, De Chirico, Magritte, Redon, Dürer, Tanguy, Facteur Cheval, torri di Watts, Böcklin, Francis Bacon e in tutti gli artisti invisibili rinchiusi nei manicomi del pianeta.

Credo nell’impossibilità dell’esistenza, nell’umorismo delle montagne, nell’assurdità dell’elettromagnetismo, nella farsa della geometria, nella crudeltà dell’aritmetica, negli intenti omicidi della logica.

Credo nelle donne adolescenti, nel potere di corruzione della postura delle loro gambe, nella purezza dei loro corpi scompigliati, nelle tracce delle loro pudenda lasciate nei bagni di motel malandati.

Credo nei voli, nell’eleganza dell’ala e nella bellezza di ogni cosa che abbia mai volato, nella pietra lanciata da un bambino che porta via con sé la saggezza di statisti e ostetriche.

Credo nella gentilezza del bisturi, nella geometria senza limiti dello schermo cinematografico, nell’universo nascosto nei supermarket, nella solitudine del sole, nella loquacità dei pianeti, nella nostra ripetitività, nell’inesistenza dell’universo e nella noia dell’atomo.

Credo nella luce emessa dai videoregistratori nelle vetrine dei grandi magazzini, nell’intuito messianico delle griglie del radiatore delle automobili esposte, nell’eleganza delle macchie d’olio sulle gondole dei 747 parcheggiati sulle piste catramate dell’aeroporto.

Credo nella non-esistenza del passato, nella morte del futuro e nelle infinite possibilità del presente.

Credo nello sconvolgimento dei sensi in Rimbaud, William Burroughs, Huysmans, Genet, Celine, Swift, Defoe, Carroll, Coleridge, Kafka.

Credo nei progettisti delle piramidi, dell’Empire State Building, del Führerbunker di Berlino, delle rampe di lancio di Wake Island.

Credo negli odori corporali della principessa Diana.

Credo nei prossimi cinque minuti. Credo nella storia dei miei piedi.

Credo nell’emicrania, nella noia dei pomeriggi, nella paura dei calendari, nella perfidia degli orologi.

Credo nell’ansia, nella psicosi, nella disperazione.

Credo nelle perversioni, nelle infatuazioni per alberi, principesse, primi ministri, stazioni di rifornimento in disuso (più belle del Taj Mahal), nuvole e uccelli.

Credo nella morte delle emozioni e nel trionfo dell’immaginazione.

Credo in Tokyo, Benidorm, La Grande Motte, Wake Island, Eniwetok, Dealey Plaza.

Credo nell’alcolismo, nelle malattie veneree, nella febbre e nell’esaurimento.

Credo nel dolore.

Credo nella disperazione. Credo in tutti i bambini.

Credo nelle mappe, nei diagrammi, nei codici, negli scacchi, nei puzzle, negli orari aerei, nelle segnalazioni d’aeroporto.

Credo a tutti i pretesti.

Credo a tutte le ragioni.

Credo a tutte le allucinazioni. Credo a tutta la rabbia.

Credo a tutte le mitologie, ricordi, bugie, fantasie, evasioni.

Credo nel mistero e nella malinconia di una mano, nella gentilezza degli alberi, nella saggezza della luce."

da Re/Search, J.G. Ballard, ShaKe edizioni underground





Le citazioni sono utili in periodi di ignoranza o di oscure credenze.
Guy Debord



venerdì 3 giugno 2011

Staranno bene insieme?

A volte la mia immaginazione, girovagabondando di qua e di là, improvvisa puzzle dall'aria quantomeno bizzarra; così, virando e scuffiando, ha solcato una rotta che intreccia due diverse destinazioni: frammenti di narrazione, parole prensili ed odorose, carnali e visuali ....

<< (...) Ero un ragazzo di città, ma d'estate m'inselvatichivo. Scalzo, la pelle dei piedi indurita come le carrube mangiate sull'albero, lavato all'acqua di mare, salato come aringa, un pantalone di tela blu, odore di pesce addosso, qualche squama in giro nei capelli, andatura a passi corti, da barca. In una settimana non avevo più una città d'origine. Me l'ero staccata di dosso insieme alla pelle morta del naso e della schiena, i punti dove il sole si approfondiva fino alla carne. (...) Era l'estate dei miei sedici anni, stavo su un precipizio di sentimenti. (...) E' bene che le storie dei libri siano senza suono, altrimenti proverei a cantare quelle musiche qui, in mezzo alle pagine>>.
Erri De Luca. Tu, mio.

.... cantati di getto, estemporaneamente ed irrimediabilmente, con le note degli Who.....

Qual è il nesso? Forse il compimento di un rito di passaggio, un oltre: l'adolescenza, abbandonata tra i granelli di sabbia di un'estate isolana, e un lascito di dolore, quello di Tommy che ritrova i sensi perduti.
Forse!


giovedì 2 giugno 2011

Banksy e il passo da museo

Su Banksy ci sarebbero da dire un'infinità di cose... intanto per chi non lo conoscesse ("Non conosci Banksy???") vi scopiazzo un pezzo di wikipedia, senza farvi scomodare.


Banksy (Bristol, 1974 o 1975) è un artista inglese.

È uno dei maggiori esponenti della street art. Si sa di lui che è cresciuto a Bristol ma la sua vera identità è tenuta nascosta. Le sue opere sono spesso a sfondo satirico e riguardano argomenti come la politica, la cultura e l'etica. La tecnica che preferisce per i suoi lavori di guerrilla art è da sempre lo stencil, che proprio con Banksy è arrivato a riscuotere un successo sempre maggiore presso street artists di tutto il mondo. [segue qui]

Quanto all'argomento di cui al titolo, cito ancora testualmente:

Una delle caratteristiche che ha reso famoso Banksy è la sua abilità di entrare nei musei più importanti del mondo e appendere delle sue opere tra le altre già presenti. Spesso passano giorni prima che qualcuno si accorga dell'intrusione. I suoi temi preferiti in questi casi, sono quadri dipinti in perfetto stile settecentesco, con l'aggiunta di alcuni particolari completamente anacronistici (nobili del Settecento con bombolette spray, dame di corte con maschere antigas, ecc.).


Il passo da museo è spesso quanto di più ilare e ridicolo si possa vedere stando ad osservare un uomo (uomo in senso lato, s'intende).
Un po' come la corsa al Louvre per vedere la Monnalisa, tralasciando secoli d'arte e opere altrettanto, se non persino più, degne di attenzione.
I più divertenti sono quelli che pur annoiandosi a morte sostano un tempo ragionevole davanti ad un opera, così che chi li guarda possa ragionevolmente ritenere che l'abbiano osservata a dovere da veri estimatori.
Non meno degno di nota è il passetto indietro quando, leggendo la didascalia, si accorgono che quello era un Degas, un Monet o un Gauguin (ne ho scelti tre a caso).

Ci sono quelli del "ssssssssssssst", che non riescono a concentrarsi se non c'è silenzio e invece di guardare quadri, sculture e teche, camminano agitati e stanno lì a fissare gli altri visitatori ammiccando alla guardia del museo da veri spioni.
Uh! Per non dimenticare i/le fidanzati/e al seguito! In quel caso non sono in un museo, no, ma rispettivamente davanti a: vetrine dei negozi in periodo di saldi/concessionaria di moto. Li vedi ciondolare trascinandosi da un quadro all'altro finché la/il ragazza/o si volta a cercarli/e e tornano improvvisamente interessati/e e coinvolti/e. Questi meriterebbero una medaglia al valore gratis da ritirarsi allo shop, non fosse che all'ultimo corridoio stanno già correndo verso l'uscita.
I confusi dalle audioguide, i tampinatori delle guide, gli smarriti del gruppo, quelli fighi che tanto è la terza volta che visitano il museo, quelli che devono trascrivere tutte le didascalie e non li scolli da davanti nemmeno a picconate e infine... the last but not the least...
i "nati stanchi", quelli che vorrebbero tanto, ma tanto, ma proprio tanto, stare lì a guardare i dettagli di ogni cornice, leggere ogni etichettina, osservare la pennellata, contestualizzare l'opera, disquisire sulla luce, riflettere sulle influenze dell'impressionismo sulle avanguardie o cercare quel dettaglio, quel quid in più... ma sono alla frenetica, seppur dissimulata, disperata ricerca di una sedia! Quelli che arrancano alla ricerca di un divano e non si siedono sulla sedia vuota della guardia solo per paura che sia un'opera d'arte. Se chiedi loro il perché ti risponderanno che: è tutto il giorno che camminano, soffrono di tallonite, devono fare la pipì, stanno aspettando qualcun'altro o da autentici-grandiosi paraBIP!... hanno bisogno di tempo per riflettere sull'opera

Quanto a Banksy ... qui il suo sito. I suoi topi "rat" ...sono geniali!
Alla domanda: − Che cos'è l'arte? − Si potrebbe rispondere celiando (ma non sarebbe una celia sciocca): che l'arte è ciò che tutti sanno che cosa sia.
Benedetto Croce, Breviario di estetica, 1912

La vita dove non te l'aspetti

Ieri mentre stavo sistemando dei fascetti di ceppi sotto a una tettoia, ho notato un piccolo miracolo. Noi avevamo un pollaio fino all'anno scorso che da qualche mese è un sito di stoccaggio di macerie (tranquilli) ovvero scarti di edilizia che non sappiamo dove mettere. Quella che una volta era l'aia dove scorrazzavano i polli ora è del tutto coperta da una montagna di mattoni, pietre, ghiaia, cemento come nei migliori cantieri che vedete nelle vostre città. Non un bel panorma.

Come ho anticipato, oggi ho notato da lontano qualcosa di nuovo e inaspettato: un fiore! Non era un fiore qualsiasi, io non l'ho mai visto qui.


La foto con il cellulare non è un granchè però potete notare la stranezza di questo accostamento. Giuro che lì non c'è un filo di terra. L'acqua è del laghetto in cui dimorano varie rane (mi apposto spesso per guardarle perchè nutro una particolare simpatia verso i piccoli anfibi) per il resto c'è solo il pavimento di cemento e i mattoni. Eppure accanto a quella pietra è spuntato quel fiore così bello!


Sono stato pure scemo a fotografare verso il tramonto quando il sole batte lì. Io sono stato qualche minuto a chiedermi che razza di fiore fosse perchè son fatto così, devo sempre pormi delle domande. Inoltre avendo studiato botamica ho imparato che l'approccio deve essere "botanico come tassonomo" colui che osserva. C'è voluto mio padre he non ha mai studiato botanica ma ha più esperienza di me e ha detto "è un papavero... si della famiglia dei papaveri (papaveraceae ndr)". In effetti l'invoculcro del fiore è identico e anche lo stelo somiglia molto a quello dei normali papaveri rossi. Da botanico però il dubbio deve restare. Questo giusto per dirvi cosa significa fare l'università oggi: che tristezza.

Tornando al messaggio iniziale, io trovo straordinario come la natura sappia sempre adattarsi e in qualche modo trionfare sui nostri maldestri tentativi di ridurla a una miseria. Pensate che il seme che ha dato origine a quel fiore è volato fino a incastrarsi in un anfratto minuscolo invece di finire a 3 metri di distanza dove c'è l'orto e quindi il posto ideale per nascere. Non lo trovate uno straordinario esempio di bellezza?

mercoledì 1 giugno 2011

birds

La Pixar Animation Studios è una delle più importanti case cinematografiche specializzata in "computer generated imagery", appartiene alla The Walt Disney Company.
Specialisti in tecnologie grafiche innovative, gli sviluppatori della Pixar sono i creatori del Software  Renderman usato per il rendering delle immagini delle loro pellicole.
Ovviamente non ho idea di cosa sia tutto questo ma ho visto dei cartoni con questa tecnica e mi sono piaciuti molto, oggi curiosando su youtube ho trovato questo video che trovo delizioso e secondo me merita un post sul nostro blog.